...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

domenica 4 dicembre 2011

Le parole ...

"Mi sono sempre vantato della mia capacità di formulare frasi. Le parole sono, secondo la mia non così modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, capace tanto di infliggere ferite quanto di porvi rimedio."



venerdì 2 dicembre 2011

I gigli nel campo.

[...]Perciò io vi dico: non preoccupatevi di quello che mangerete per vivere, né di quello che indosserete sul vostro corpo; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di un solo istante la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Guardate come crescono i gigli nel campo: non fanno fatica e non tessono. Eppure io vi dico che neanche Salomone, in tutto il suo splendore, vestiva come uno di loro! [...]


Matteo, 6, 24 - 29.

L'illogica allegria.

Esistono canzoni, dipinti e poesie che riescono a dare un nome a quegli indefiniti stati d'animo, che tutti ci troviamo a vivere e che non sappiamo neppure descrivere. Questa canzone, per me, appartiene a tale privilegiata schiera.


Da solo,
lungo l'autostrada, 
alle prime luci del mattino; 
a volte spengo anche la radio 
e lascio il mio cuore incollato al finestrino. 

Lo so 
del mondo e anche del resto, 
lo so 
che tutto va in rovina, 
ma di mattina, 
quando la gente dorme, 
col suo normale malumore 
mi può bastare un niente, 
forse un piccolo bagliore, 
un'aria già vissuta, 
un paesaggio o che ne so. 

E sto bene. 
Io sto bene come uno che si sogna, 
non lo so se mi conviene, 
ma sto bene, che vergogna. 

Io sto bene 
proprio ora, proprio qui 
non è mica colpa mia, 
se mi capita così. 

È come un'illogica allegria 
di cui non so il motivo 
non so che cosa sia. 
È come se, improvvisamente, 
mi fossi preso il diritto 
di vivere il presente 

Io sto bene... 
Questa illogica allegria 
proprio ora, proprio qui. 

Da solo 
lungo l'autostrada 
alle prime luci del mattino.


mercoledì 23 novembre 2011

Fantasia

Marc Chagall - Il violinista verde
"Il problema basilare quindi, per lo sviluppo della fantasia, è l'aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati. Questo naturalmente non significa che, automaticamente, una persona molto colta sia anche una persona con molta fantasia. No di certo. Ci sono persone che hanno memorizzato una quantità enorme di dati, e che per altre persone passano come persone molto intelligenti, invece si tratta solo di memoria. Se queste persone non fanno relazioni tra quello che sanno, non usano la fantasia, resteranno come un meraviglioso magazzino di dati inerti. Come un dizionario che ha tutte le parole con le quali costruire ogni poesia, ma non ha nemmeno una poesia. Uno strumento non utilizzato."

Bruno Munari - Fantasia, 1977


Per dare un senso a ciò che ha occupato la mia vita per la maggior parte del tempo che ho vissuto: lo studio, la scoperta di cose nuove
Per ricordarmi un motivo, ora che sto terminando con una seconda laurea questo percorso guidato, iniziato alla scuola materna: per provare sempre il desiderio (de sidera, discendiamo dalle stelle!) di imparare. Con lo spirito giusto, che era quello delle paroline magiche, quello che, anni fa, mi hai trasmesso tu.

mercoledì 16 novembre 2011

Il giorno della civetta.

Cos'è l'Italia, cosa sono questi giorni? Qual è la linea di confine tra ragione e caos, tra legge e costume, tra bene e male? E' sufficiente un breve racconto a segnare il solco. E uno stile di nobile eleganza, disincantato per eccesso di umanità. Dietro la carta sottile di poche pagine si schiudono diafani e leggeri un'isola e un paese, secoli di storia. Basta questo, per scrivere un classico.


domenica 13 novembre 2011

Viva Benigni, viva l'Italia.

Non condivido l'ottimismo e il senso "millenaristico" che si respirano in questi giorni. Mi sembrano prematuri, più emotivi che ragionati. I presupposti della barbarie degli ultimi decenni non sono ancora stati rimossi o superati. Anche dimenticando il fatto che la quintessenza del potere, ovvero i media, non è stata minimamente scalfita, dobbiamo tenere ben presente che il "berlusconismo" è vivo: si tratta di una malattia troppo radicata nella società, nello spirito italiano, perché un singolo evento, per quanto importante, possa cancellarla. Come riportava Giorgio Gaber: "Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me". E per lavarci l'anima da questo, avremo bisogno d'anni.
In ogni caso segnali più luminosi non mancano. Primo tra tutti, il commovente discorso di Benigni al parlamento europeo, un'apologia dell'Italia che, sulle ali della passione, si trasforma in elogio del lato migliore dell'umanità, di quella metà angelica che sopravvive nell'anima umana. Un caldo raggio di sole nel buio dell'inverno.



sabato 12 novembre 2011

Il mondo brucia sempre da un'altra parte.


L'ideale.

Non saranno mai queste bellezze
da vignetta, prodotti avariati, nati
da un secolo cialtrone, questi piedi
da stivaletto, dita da nacchere,
a soddisfare un cuore come il mio.
Io lascio a Gavarnì, poeta di clorosi,
la folla bisbigliante di belle da ospedale,
perché tra queste rose pallide non trovo
un fiore che assomigli al mio rosso ideale.
Ciò che serve a questo cuore, profondo
come l'abisso, siete voi, Lady Macbeth,
anima possente nel crimine, sogno
di Eschilo schiuso in climi nordici;
oppure tu, grande Notte, figlia di Michelangelo,
che torci quietamente in una strana posa
le tue forme, foggiate per bocche di Titani!


Charles Baudelaire

venerdì 11 novembre 2011

Le due città.

Città vecchia


Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene e che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via. 

Umberto Saba


Città vecchia




Fabrizio De André

Da Agostino in poi, a molti è piaciuto credere che sulla terra esistano e combattano tra loro due città, ovvero la Città di Dio (Civitas Dei) e quella terrena (Civitas Diaboli). La prima è ovviamente destinata alla gloria eterna, la seconda ad un'infinita dannazione. 
Due poeti, però, si sono presi la briga di perdersi nei meandri oscuri della "vecchia" Città del Diavolo. E sono usciti con una nuova verità. Esiste una sola città e il Paradiso, quello vero, dimora nel cuore dell'Inferno.


giovedì 3 novembre 2011

Sdegno e informazione.

Riporto qui un mio scritto che risale a mesi fa, prima dell'esplosione del movimento degli indignados. Condivisibili o contestabili che siano le conclusioni tratte, è necessario che ciascuno di noi rifletta sulle questioni che esso solleva, perché sono - urgentemente e drammaticamente - res-publica, cosa di tutti noi ...


"Seguo con disincantata apprensione le vicende politiche, economiche e sociali del mio paese. Ogni volta che lancio uno sguardo alla sua storia recente, mi pare di trovarmi davanti ad un abisso che si allarga senza sosta, lentamente, divorando ciò che incontra. 
Non riesco a trovare veri redentori nei paraggi, ma solo persone che saranno pronte a discolparsi quando il peggio sarà inevitabile. 
La triste realtà è forse la tragica (spesso inconscia) complicità della maggioranza un popolo affogato nell'idiozia. 
Nonostante tutto, credo ancora nell'esistenza di due soluzioni per tentare di combattere l'Inferno in cui ci dibattiamo. 
La prima è lo sdegno, la capacità di sapersi ancora arrabbiare, di non lasciare scorrere via ogni cosa. La televisione e la pubblicità sono maestre d'indifferenza, di un'amoralità ebete che sa soltanto riempirsi la bocca di luoghi comuni e strumentali a dibattiti sterili.
Persino la rabbia della gente è oramai veicolata, calcolata, sfruttata. 
E i risvegli della coscienza popolare assumono sovente le parvenze dell'indignazione.
E qui è necessaria una linea di demarcazione terminologica e, conseguentemente, concettuale.
L'indignazione è infatti simile ad un urlo, liberatorio e minaccioso, ma breve e inefficace;  non tocca i pilastri di una realtà composta di sopraffazioni e di bocconi amari.
Se l'indignazione si fonda su una reazione irrazionale (e spesso provocata a bella posta), lo sdegno - concetto più nobile - proviene dalla constatazione razionale e lucida del reale, che desta nell'animo una volontà di denuncia e di cambiamento.
Pertanto, richiamando il mio paese allo sdegno, invoco quel nobile sentimento che infiamma Dante quando dice:  "Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, /non donna di province, ma bordello!". 
O Machiavelli:  "Non si debba, adunque, lasciare passare questa occasione, acciò che l'Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore."
La seconda soluzione è invece l'informazione. 
Essa precede logicamente lo sdegno, perché solo chi conosce una situazione la può giudicare, ma al contempo è una sua conseguenza, perché solo chi è mosso da una grande forza di volontà è spinto ad informarsi. 
E informarsi significa infatti "assumere una forma", decidere quale sguardo gettare sul mondo e dove volgere le nostre orme.
La verità è che l'italiano moderno può accedere ad un oceano di nozioni o notizie superflue, ma non è sempre in grado di decodificare la realtà: come se da sempre fossimo estranei al mondo che ci circonda e a noi stessi.
Per questo bisogna tornare ad avvertire la necessità di una selezione delle notizie, bisogna rifiutare la scaletta che ci propone il telegiornale, la gerarchia implicita nelle pagine dei giornali.
Dobbiamo vivere la dolce fatica di creare una nostra opinione e, in questo modo, ricominciare a sdegnarci, a sognare, ad agire."

mercoledì 2 novembre 2011

Il lampo della bocca.


Migliaia d'uomini prima di me,
ed anche più di me carichi d'anni,
mortalmente ferì
il lampo d'una bocca.

Questo non è motivo
Che attenuerà il soffrire.

Ma se mi guardi con pietà,
e mi parli, si diffonde una musica, 
dimentico che brucia la ferita.


Giuseppe Ungaretti

Raccogli queste ali infrante e impara a volare.



Merlo che canti nel silenzio notturno,
raccogli queste ali infrante e impara a volare,
per tutta la tua vita,
stavi solo attendendo che questo momento arrivasse.
Merlo che canti quando tace la notte,
prendi questi occhi scavati e impara a vedere,
per tutta la tua vita,
stavi solo attendendo questo momento
per diventare libero.
Vola, merlo,  lungo la via
di una notte nera e buia.
Stavi solo attendendo questo momento
per sollevarti.




martedì 25 ottobre 2011

God.

Dio è un concetto
Con il quale misuriamo
Il nostro dolore.
Lo dirò di nuovo:
Dio è un concetto
Con il quale misuriamo
Il nostro dolore.

Io non credo nella magia
Non credo nell'"I-ching",
Io non credo nella Bibbia,
Non credo a tarocchi,
Io non credo in Hitler,
Io non credo in Gesù,
Io non credo in Kennedy,
Io non credo in Buddha,
Io non credo nel Mantra,
Io non credo nel Gita,
Io non credo nello Yoga,
Io non credo nei re,
Io non credo in Elvis,
Io non credo in Zimmerman,
Io non credo nei Beatles,
Credo solo in me,
Yoko e me,
E questo è la realtà.

Il sogno è finito.
Che cosa posso dire?
Il sogno è finito,
Ieri.
Io ero il tessitore di sogni,
Ma ora sono rinato.
Io ero "the Walrus",
Ma ora sono John.
E così cari amici,
Dovete soltanto andare avanti.
 
Il sogno è finito.


Vorrei avere la capacità di scrivere parole così semplici e allo stesso tempo così profonde. 

Vorrei saperle abbinare ad una musica così dolce e sognante. 

Dire con soavità che ci siamo solo noi, su questa terra spaventosa, ad affrontare la morte dell'utopia, ad assumerci la responsabilità di rinascere. 

Insieme.

Ma sono felice che John ci abbia pensato per me. 

sabato 22 ottobre 2011

Vedere gli occhi di un uomo che muore.

Se Gheddafi avesse ucciso una persona a me cara e se poi l'avessi avuto davanti, in mio potere, cosa avrei fatto?
Se Gheddafi per lunghi decenni avesse oppresso la mia patria, non avrei forse sognato di sopprimerlo, di porre fine alla sua crudeltà? 
Domande cui non so rispondere.
Quello che so è che lo spettacolo che ho visto nei giorni scorsi, quello di un uomo inerme, terrorizzato, forse ferito a morte, non mi ha suscitato rabbia, bensì una pietà immensa, così forte da tradursi in malessere; e nausea profonda, quando all'individuo martoriato si è sostituito un freddo cadavere.
Io in quei fotogrammi confusi non sono riuscito a riconoscere il folle dittatore, ma soltanto un piccolo uomo. 
Attorno a lui folle di persone fuori di sé, inebriate dalla vittoria e dalla sua agonia, bramose della sua fine. 
E le folle, si sa, sono la cosa più disumana che esista.
Volete la pazza verità?
Quando quelle scene di violenza estrema mi balenavano sotto gli occhi, mi tornavano alla mente i tempi in cui andavo a pescare: nello sguardo vacuo e stordito di colui che era stato il più potente, riconoscevo quello del  pesce ingannato, forato sul muso e obbligato alla lenta asfissia dell'aria aperta, in religiosa attesa della sentenza: essere ributtato nel lago oscuro o morire brutalmente sbattuto su una pietra. 
Come in Italia anni fa, con Mussolini, e come con mille altri dittatori in ogni luogo ed epoca, ha vinto la brutalità, la vendetta servita calda. Il più grande prepotente diventa il capro espiatorio, viene linciato perché con lui muoia tutto il male che ha provocato. Una cruenta palingenesi che banalizza la realtà e fa tutti buoni a fronte di un solo cattivo. Non importa che l'ordine nuovo poggi su molte figure che avevano allegramente sguazzato negli anni fiorenti del regime. Ciò che conta è che la facciata sia salva, che il malvagio muoia senza avere tempo di indicare con il dito, uno ad uno, coloro che l'hanno tradito. 
Una storia vecchia, dicevo.
Però io non volevo parlare di storia o di politica, ma di semplice pietà.
Come può un ordine nuovo di pace e di giustizia fondarsi su un assassinio, per quanto motivato esso sia?
Neppure la Chiesa, mi pare, ha mostrato ufficialmente un briciolo di pietà per il tiranno ammazzato, mentre Gesù non esitò a redimere il ladrone agonizzante sulla croce: e quando fu decisa la sua morte, decise di non reagire, affermando che la violenza genera altra violenza, l'assassinio altri assassinii.  
Ma non sono valori solamente cristiani, quelli che cerco di esprimere, bensì valori laici, ovvero che possono coinvolgere l'intera umanità. E prima che valori, sono sentimenti; compassione significa infatti soffrire insieme alla persona che si ha dinnanzi. Essa si trasforma poi in un principio morale, la pietà.
Avere compassione di un uomo, chiunque egli sia, rinunciare alla propria vendetta in nome della giustizia, scegliere d'essere superiori ad un branco di animali ... soltanto quando ciò accadrà nutrirò qualche speranza in più nella redenzione terrena dell'uomo e un ragionevole ottimismo sulle "magnifiche e progressive" sorti dei popoli. 
  





  

mercoledì 19 ottobre 2011

Sul caso Caterina/Politi: una riflessione.


E' già di per sé inammissibile che il direttore di una rivista risponda in modo così poco elegante alle domande di una ragazza indignata, per quanto il suo tono possa essere provocatorio o prevenuto.
Ma la vera assurdità si svela solo nel momento in cui ci si prende la briga di leggere l'annuncio incriminato, all'origine dell'acceso scambio di e-mail tra la giovane Caterina e Giancarlo Politi, direttore di Flash Art.
La vicenda dovrebbe essere ormai nota, visto che circola in rete da giorni, ma per un riassunto rimando all'articolo pubblicato oggi sul Fatto Quotidiano.
In realtà, ero già a conoscenza dell'accaduto grazie alla lettura di quest'altro articolo, pubblicato sul sito di Artribune, che ha fomentato un vero putiferio nel commentario. Dopo un paio di giorni di riflessioni, non ho potuto fare a meno di intervenire, con quanto segue.


Il problema non sono tanto quei requisiti, qui sopra elencati; a mio parere il vero problema è la premessa (cito testualmente):


"Preghiamo dunque di rispondere al presente annuncio SOLO a chi possiede i requisiti richiesti e a chi può mantenersi per parecchi mesi a Milano".


Il fatto che, anche per uno stage senza retribuzione, vengano chiesti i  requisiti di una persona davvero qualificata, che magari ha già avuto qualche esperienza nel settore, non mi scandalizza. Credo anzi che sia giusto. Oggi una laurea (almeno in Italia) non fa la differenza. Le università sono sovraffollate, soprattutto nelle facoltà umanistiche il livello è molto basso perché ancora non esiste il numero chiuso, quindi quei pochi che davvero si impegnano e approfondiscono rimangono sotterrati sotto il peso dei più che frequentano per mancanza di fantasia e di alternative e impiegano il doppio del tempo stabilito per ottenere il titolo. Che un corso di Lettere Moderne sia frequentato da persone che non sanno che "se" è una congiunzione o che "qual è" si scrive senza apostrofo dovrebbe dare a tutti la misura di un livello scandalosamente basso, al quale progressivamente, affinché l'università non scenda in classifica, i docenti si adattano, abbassando le pretese e alzando i voti.
Finché non ci sarà una selezione all'ingresso, solo una minima parte dei laureati sarà costituita da persone davvero qualificate o meritevoli, che durante il percorso universitario avrà anche approfondito l'inglese e magari studiato una o due lingue in più; che legge molti libri, giornali o riviste al di là dello studio; che tenta qualche esperienza lavorativa - non retribuita - per farsi un po' di esperienza con la gavetta, invece che con l'esibizione della scollatura.
Ma detto tutto questo, mi chiedo: è giusto che tra questi fondamentali requisiti per accedere a un colloquio ci sia anche quello di essere benestanti e di potersi quindi permettere di vivere "per un po' di tempo" nella carissima Milano?
Torniamo ai tempi in cui solo i figli dei ricchi potevano sperare di costruirsi una carriera e gli altri dovevano seguire le orme dei genitori per poter mangiare?
A me non spaventa che ci siano persone maleducate come Giancarlo Politi (perché al di là delle sue ragione o di quelle di Caterina, è stato profondamente maleducato nelle sue risposte). E' un arrogante e la sua arroganza deriva fondamentalmente dalla sua posizione, direi praticamente inattaccabile. Da persone così saremo sempre circondati, purtroppo. Mi spaventa che si stia a riflettere su quanto convenga ad Artribune prendere le difese di Flash Art, che persone deluse da passate esperienze sfoghino fuori luogo il proprio rancore, che si stia a disquisire sull'uso più o meno improprio di un paragone con una mignotta d'alto borgo...e non sulla follia di una società che favorisce sempre il più abbiente e non riconosce mai il vero merito. Il merito non verrà mai premiato o aiutato, in questo paese. Prendiamo, per esempio, un figlio di operai, che hanno fatto tanti sacrifici per potergli permettere di studiare, che magari è laureato con 110 e lode e senza aiuti, perché i suoi genitori non hanno contatti, né tanto meno soldi da buttare, che magari da un paio d'anni scrive su riviste gratuitamente, ha un paio di diplomi di lingua e sa usare il Mac. Ecco, non potrà accedere al colloquio perché...la sua intelligenza e i soldi spesi per farlo studiare non sono sufficienti per garantirgli un futuro di successo? Probabilmente sarà un figlio di papà, meno preparato e meno intelligente, a prendersi quel posto. Perché a fare la differenza è il conto in banca. E allora sì, se si ha bisogno di lavorare, pur con una laurea in mano, si deve optare per il Mc Donald. Questo è preoccupante. Ed è un problema che non riguarda solo Flash Art.


giovedì 13 ottobre 2011

Non cosa vedi, ma COME lo vedi...





Mentre la gente passeggiava annoiata o ubriaca (in fondo era lo stesso), mentre i contadini dormivano "il sonno dei giusti", quell'uomo solitario non smetteva di perdere il suo sguardo nel cielo. Non serviva altro, quella notte.

Mr. Bach likes it too...

Bach non se lo sarebbe mai aspettato. Eppure non credo gli dispiaccia. Hanno preso la sua Bourée, l'hanno immersa in un secolo nuovo. Rock, folk, classica, le etichette non importano: la bellezza sopravvive al tempo. Intangibile nella sua eternità, riesce al contempo ad essere misteriosamente ibrida, a mutare il volto senza smarrire l'essenza. L'importante è che i suoi interpreti siano dotati di sensibilità, gusto e quel tanto di follia necessaria per osare. Competenza che non difetta, almeno per i Jethro Tull ...




Perché tutti prima o poi ...

Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte. 
Anzi, la accarezziamo, la pregustiamo, la assaporiamo. 
Dolcemente.
Certo per i più queste non sono fantasticherie di tutti i giorni. Sono sogni strani, che sfuggono alla sequela della quotidianità, ma sono comunque incatenati a una qualche forma di ricorrenza; irregolare, ma fatale. Succede, per dirlo con Melville, quando lo spleen ci comanda e la circolazione diventa pure essa irregolare; quando abbiamo bisogno di un ferreo imperativo morale per fissare nelle pupille la gente; quando abbiamo nell'anima "un novembre umido e stillante". 
Una fantasia strana, la morte, tessuta di nulla, scaturita da un folle bisogno di attenzione, di un briciolo autentico d'importanza. Tra tutti i sogni questo è quello più egoista. Noi siamo il personaggio mancante, è vero, ma allo stesso tempo siamo pure il regista e lo sceneggiatore. Noi a scrivere le battute, noi a selezionare le inquadrature. E tutte le persone che sappiamo amarci, ma che accusiamo di non mostrarcelo abbastanza, lì intorno a noi, a piangere e piangere, a sentirsi in colpa. 
Perverso l'essere che gode dell'altrui angoscia, dell'altrui impotenza ... 
Intanto l'inquadratura allucinata scivola voluttuosa tra i volti abbacinati di chi non se lo aspettava, di coloro che se ne fregano. Ma non importa. In qualche modo abbiamo ottenuto la loro attenzione, in qualche modo la loro vita è coinvolta e toccata inesorabilmente, a causa di una nostra azione, anzi della nostra eterna inabilità ad agire.
E così scopriamo nel nostro venir meno un social network inesorabile, che collega all'istante, in un solo sentimento fatto di mille individuali gradazioni, ogni disparato partecipante del mondo a noi circostante, dei tempi che abbiamo solcato. Maestre d'asilo, vecchi amici dimenticati, bulli odiati durante l'infanzia, professori e conoscenti, amori e indifferenze, tutto il nostro scibile di individui e persone a danzare attorno al nostro cadavere. Da morti, non siamo mai stati tanto vivi. 
Aggiungerò che questa fantasia ha molteplici varianti. Esiste quella punitiva, ovvero immaginarsi morti per punire qualcuno che ci ha appena offeso e godere dell'altrui sfrenato senso di colpa e naturalmente del singhiozzato riconoscimento di avere avuto torto. Poi esiste quella auto-punitiva, magari per avere per un millisecondo concepito (desiderato?) la morte di una persona cara, oppure per il semplice fatto di sentirsi un verme. Segue la fantasia di morte collettiva, dove assieme a noi periscono persone a noi care e solo pochi a contemplare tale rovina. Questa mi sembra più che altro una variante. E così ad libitum.
Ignoro il motivo di tali ciclici vaneggiamenti, ma ho il sospetto che siano in qualche modo salutari, apotropaici. Il fatto di gettare il nostro sguardo sul nulla che verrà dopo, implica forse la speranza che nulla non sarà, che la vita resterà acquattata dietro lo schermo. Una sorta di rito di espiazione e di rinascita, cui nessuno sfugge.
Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte.

lunedì 10 ottobre 2011

lunedì 3 ottobre 2011

Vicino a te.




Ricordi via Roma,
 la luna rideva,
lì ti ho scelto e voluto per me.
Mi guardavi e parlavi
  dei volti tuoi strani,
 degli occhi cui hai tolto l'età.  
E ora si scioglie la sera
 nei pernod, nei caffè,
 nei ricordi che abbiamo di noi ... 





Vinicio Capossela, Modì

To kill a mockingbird.

Mi chiedo perché, traducendo, spesso sia necessario cambiare il titolo di un libro. Parlo di "Il buio oltre la siepe" di Harper Lee. Non che il titolo in italiano non abbia senso, solo ha un senso diverso rispetto a quello originale. To kill a mockingbird significa, più o meno, uccidere un merlo, o un usignolo. E fa riferimento a un aspetto preciso della storia. Il buio oltre la siepe è una metafora per indicare un altro aspetto della storia. Tutti e due sono importanti, finemente intrecciati l'uno all'altro. 
E' incredibile poi come alcuni adulti non dimentichino mai di essere stati bambini. Ecco, questa storia è narrata attraverso i ricordi di una bambina, con la voce, l'ingenuità e l'intelligenza di una bambina. Pura poesia, quasi leggerezza, per affrontare un tema difficile e che purtroppo non smette mai di essere attuale, per quanto lo camuffiamo con altri nomi o ideologie. E' vero, proprio per questo è uno dei libri nella top ten di Barack Obama e quando lo comprate in libreria c'è una bella fascetta rossa a ricordarvelo: tipica mossa pubblicitaria che a me generalmente fa scappare la poesia, come si suol dire. Invece è bellissimo, per davvero.
Mi piace inserire citazioni, di solito, quando consiglio la lettura di un libro. In questo caso non lo farò.
Dirò solo: chi ha atteso tanto tempo, come me, per leggerlo, lo faccia al più presto.

giovedì 29 settembre 2011

La vera arte è vita essenziale e la vita essenziale è arte.


"Per dirla in breve tutto ha forma, e ogni forma ha significato. Cultura è la capacità di riconoscere questa qualità. Se siete d’accordo con me sul fatto che la religione praticata solo la domenica non sia affatto religione, allora condividerete anche che godere l’arte solo nei musei, o usarla come fonte di svago o ricreazione nei momenti di disimpegno non dimostra alcuna comprensione dell’arte.
Se l’arte è un aspetto essenziale della cultura e della vita, allora non dobbiamo più far sì che i nostri allievi diventino storici dell’arte o imitatori del passato ma, piuttosto, dobbiamo educarli alla visione dell’arte, all’operare artistico e, ancor più, al vivere artistico. Poiché la visione e il vivere artistici sono un vedere e un vivere più profondi – e la scuola deve essere vita – dal momento che sappiamo che la cultura è ben più della conoscenza, a scuola abbiamo il dovere di porre tutte le arti, relegate finora in un ruolo decorativo, al centro dell’educazione, come stiamo cercando di fare al Black Mountain College.
Per mettere a fuoco questo obiettivo, dobbiamo promuovere nella scuola una connessione più stretta, o meglio una compenetrazione, di tutte le discipline artistiche e degli intenti artistici della vita scolastica, e ciò dimostrerà che i problemi sono in gran parte gli stessi in ogni settore delle arti.
Impareremo dall’analogia dei problemi comuni – ad esempio, problemi di equilibrio e proporzioni – che si tratta di questioni che riguardano anche la nostra vita quotidiana.
Mentre si supera il separatismo accademico, a scuola dobbiamo mettere in relazione quanto più è possibile scienza e arte. Non è forse vero, ad esempio, che alcuni periodi storici sono meglio identificati dalla loro architettura o dalla loro iconografia, piuttosto che dai loro conquistatori e dalle loro guerre? E che alcuni costumi ci dicono, spesso, molto di più di tante regine? In generale, la storia dovrebbe considerare la vita più importante della morte e la cultura come una cosa più seria della politica.
[...]
Il nostro obiettivo è lo sviluppo complessivo di un giovane dallo sguardo e dalla mente aperti, che indaghi a fondo i crescenti problemi spirituali del nostro tempo, che non sia refrattario all’ambiente in cui vive e che guardi avanti con la consapevolezza che interessi e bisogni cambiano. Un giovane che abbia sufficiente spirito critico da riconoscere che le cosiddette ‘buone vecchie forme’ talvolta possono essere troppo utilizzate e alcune opere che per i nostri genitori sono capolavori a noi non hanno nulla da dire; un giovane che abbia rispetto per la serietà del lavoro e delle opere, anche se inizialmente potranno sembrargli nuove e strane e che sia capace di sospendere il giudizio fino a quando non abbia le idee sufficientemente chiare per giudicare, consapevole che la propria esperienza, i frutti della sua ricerca e un giudizio indipendente valgono molto di più della riproposizione della conoscenza contenuta nei libri.
Sappiamo che da brevi studi scolastici non possono formarsi critici d’arte competenti. Pertanto, al Black Mountain siamo soddisfatti quando un nostro allievo, ad esempio, riconosce una connessione fra un’immagine moderna e la musica di Bach, o una relazione fra pattern tessili e la musica; o, ancora, se è in grado di distinguere fra la forma-carattere di una brocca di porcellana e quella di una brocca di vetro o di alluminio; o di riconoscere la differenza fra una pubblicità del 1925 e una del 1935; o quando scopre che nell’arte possiamo ancora fare esperienza della rivelazione e della meraviglia.
Vogliamo un allievo che non veda l’arte né come un salone di bellezza né come imitazione della natura, che la veda come qualcosa di più di un ornamento o di un intrattenimento, che la senta come una documentazione spirituale della vita e capisca che la vera arte è vita essenziale e la vita essenziale è arte
."

Josef Albers, ottobre 1935
da un articolo pubblicato su "Progressive Education"

venerdì 23 settembre 2011

Abituarsi all'orrore.

Come in un lampo, la lunga, coatta permanenza nella piccola stazione gli fece comprendere i meccanismi dell'uniformazione e del rincoglionimento generale. Annunci pubblicitari iterati e iterati, fino alla nausea dell'infinito, brandelli ossessivi di canzoni, voci disumane snocciolanti il loro credo: "Compra!".
L'aria era satura di decadenza, densa d'assenza di pensiero. L'eco di quelle pubblicità era irresistibile: scendeva nelle profondità dell'anima, imprimeva il suo eterno sigillo sui suoi neuroni innocenti.
Prima non era così. Poi dal nulla queste voci, e nessuno a lamentarsi. In effetti nessuno pareva averle notate e così erano divenute il "normale" sottofondo della piccola stazione.
Tanto radicato da non badarci più, esattamente come la pubblicità tra le pause dei film, che fissiamo a bocca spalancata senza ragione, per forza d'inerzia. 

Per forza d'inerzia il brutto e la volgarità stanno sempre più invadendo i nostri spazi vitali, i luoghi comuni che ospitano il nostro passare. Colpa, per dirla con gli antichi commediografi Greci, della "disaffezione dei più al bello".





mercoledì 31 agosto 2011

Ciao.


Quando la luna perde la lana
e il passero la strada
quando ogni angelo è alla catena
ed ogni cane abbaia
prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume.

(Canto del servo pastore, F. De Andrè)

giovedì 25 agosto 2011

Era il 1996...

Estratti dal mio diario segreto, II B, 1996.


23/06/1996
Oggi è il mio compleanno e ho ricevuto molti regali e fra questi quello che mi è piaciuto di più è stato un libro di situazioni intitolato "Il castello del brivido".
Ho invitato molti miei amici e insieme abbiamo festeggiato un bellissimo compleanno.



25/06/1996
Oggi ho visto un bellissimo arcobaleno, sono corsa a telefonare alla nonna per dirle di guardare alla finestra, perché c'era l'arcobaleno. Ma chissà...se gli gnomi avevano pronta la pentola?


28/06/1996
Oggi sono andata per la prima volta in aereo. Il signore che lo pilotava si chiamava Angelo. Il giro è stato piuttosto lungo. Alla fine del giro il pilota ci ha offerto da bere.


30/06/1996
Oggi i miei nonni mi hanno portata a Milano. Ho visitato due chiese e ho passeggiato sopra il Naviglio. Ho mangiato e dopo sono andata al Duomo.


20/07/1996
Oggi ho festeggiato il compleanno di una mia amica. Si chiama Beatrice. Compie sette anni ed è la mia migliore amica. Abbiamo mangiato la pizza e la torta insieme.


2/08/1996
Oggi i miei nonni partono per l'America. Io sono tornata da pochi giorni e i nonni partono, però qualche volta ci telefoneranno.


5/08/1996
Oggi mi sono sentita male. Ho mal di testa e ho vomitato due volte. Domani curerò quello che mangerò.


10/08/1996
Stasera dovevo andare con il papà a vedere le stelle cadenti. Purtroppo ha fatto brutto tempo e non sono andata, però ho rimandato a un giorno della settimana.


19/08/1996
Oggi sono andata al mercato con la mia mamma e la nonna bis. Dopo aver girato per il mercato ho comprato il Topolino e sono andata a casa e ho trovato mia cugina.
Nel pomeriggio è venuta Ilaria a giocare a casa mia per tre ore. Quando è andata via sono andata dai miei zii a mangiare il pesce insieme a mio fratello.



22/08/1996
Oggi è venuta ancora a trovarmi e a giocare con me Ilaria. Ci siamo divertite un mondo. Il tempo è volato e lei è tornata a casa sua.


28/08/1996
Stasera mia zia mi ha portata al cinema a vedere Balto. Balto è basato su una storia vera. Questo simpatico personaggio insieme ai suoi amici deve portare a destinazione delle medicine in paese per salvare i bambini. Ma il capo del gruppo dei cani da slitta non lo vuole con lui. Ce la farà?

lunedì 22 agosto 2011

Mr Verdoux nel terzo millennio.


Inizialmente ti appresti a vedere un film così "antico" con quella superficialità bonaria che riservi per i momenti in cui giochi con i bambini. La tua prima preoccupazione è che l'ingenua lentezza di un'età troppo distante non ti annoi eccessivamente. Poi una rivelazione. O meglio, una riscoperta. La consunzione del tempo non riguarda le creazioni del genio: chiunque ne abbia il desiderio le può godere, in qualsiasi epoca.
E come un idiota supponente ti trovi a rimpiangere di non avere mai avuto prima la curiosità di accostarti a Charlie Chaplin. Pazienza. Quello che mi premeva scrivere è un mero invito a vedere (o rivedere) un autentico capolavoro, Monsieur Verdoux, film del 1947. Crisi economica, incertezza del futuro, futilità borghese, spirito di sacrificio, amore, condanna della guerra e dell'invisibile violenza che permea e sostanzia la società. Mr Verdoux è tutto questo, ma soprattutto una storia tragicomica che diverte, fa riflettere e non ha momenti di stanca, bensì di lirismo e di sublime. Nessuno creda di trovare delle risposte, però. Si trovano solo delle questioni così ben poste che ancor oggi non saprei rinvenire una replica adeguata. Ma non è questo, insieme alla bellezza, lo scopo ultimo dell'arte?

sabato 13 agosto 2011

Aspettando Godot.




                                                                                                                                  Quino

Notturno.

















All'orecchio

Se vuoi baciarmi... bacia,
- io condivido i tuoi desideri -
Però non fare prigioniera la mia bocca,
Baciami adagio negli occhi
Non mi parlare di incantesimi
Dei tuoi baci sul collo...
Ora sono gelosi i miei ricci
Accarezzami i capelli,
E' cosa giusta pure per te e
Se i tuoi occhi sono parole,
Mi daranno, uno ad uno,
I pensieri che elabori.
Poggia la tua mano tra le mie:
Tremeranno come un canarino
E ascolteremo le sinfonie
Di qualche amore millenario.
Questa è una notte morta
Sotto il tetto astrale.
L'orto è muto
Come un sogno letale.
Ha una sfumatura di alabastro.
Ed un mistero di pagoda.
Guarda la luce di quell'astro!
Ce l'ho nell'anima tutta!
Silenzio... silenzio... Taci!
Perfino l'acqua scorre a stento,
Sotto il suo verde schermo
Si acquieta misurata la sabbia
Ohi! Che profumo così fino!
Non baciare le mie labbra rosse!
Nella notte di platino
Baciami adagio negli occhi...

Da Alfonsina Storni, La inquietud del rosal, 1916

Il rito.

Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.


Pier Paolo Pasolini