...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

giovedì 24 febbraio 2011

Eclissi di musica



Capita che poche note e una melodia riflettano miracolosamente il nostro spirito e che sappiano raccontare meglio di diecimila libri la nostra storia presente e passata.
A volte vediamo la nostra tristezza farsi voce e fuoriuscire da labbra che cantano.
A volte sentiamo la nostra gioia indugiare sui tasti di un pianoforte, giocare tra le corde di una chitarra. Sono momenti preziosi, perchè un'intera esistenza entra in congiunzione astrale con la musica, allineando la sua esuberanza al mistero armonico del mondo. Sono momenti brevi, perchè subito la vita e il caos di ogni giorno impietoso ci strappano lontano.
E della sensazione dolce resta solo il ricordo.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Dio delle Piccole Cose

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole. Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra. Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate. Le barche riforniscono i bazar. E nelle pozzanghere che riempiono le buche lasciate per le strade dal Dipartimento dei Lavori Pubblici compare qualche pesciolino.
Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem.


- da Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy - 

martedì 15 febbraio 2011

La storia gira...

...e gira, e gira. Lo diceva sempre un vecchio e lontano parente, lassù in Bretagna. Non l'ho mai conosciuto. Ma le sue massime sono state ripetute talmente spesso in famiglia, che ormai quasi riesco a vederlo, mentre con gesto enfatico e teatrale - il dito indice alzato - fende l'aria con le grosse braccia, l'occhio sinistro socchiuso, e dice: "La storia gira, gira e gira..."
E tutto sommato, benché tutti pensassero che fosse un po' matto, comincio a credere che avesse ragione.




Era l'anno 558 aC. Pisistrato era già stato esiliato una volta da Atene. Un paio di anni prima, infatti, per prendere il potere, aveva ben pensato di ferirsi da solo (forse con un bronzetto di Athena Poliàs, chissà!) e di denunciare un attentato nei propri confronti per ottenere una scorta armata. Con quei 300 mercenari così ottenuti riuscì a occupare l'Acropoli e a detenere il potere per un po'. Ma poi fu esiliato, come si diceva all'inizio.
Di conseguenza pensò a uno stratagemma ancora migliore: prese una ragazza altissima, le fece indossare un'armatura e la fece sfilare per le strade di Atene su un carro, tentando di far credere alla gente che quella fosse proprio la dea Atena, che in persona suggeriva a gran voce alla cittadinanza di mandare al potere il suo amato Pisistrato...


Per fortuna che, allora, nessuno ci cascò. Certo, dopo un altro - ovvio - esilio, alla fine, con la forza, Pisistrato riuscì a diventare tiranno di Atene, ma a quella stupida messa in scena non credette proprio nessuno.


...e gira, e gira...

domenica 13 febbraio 2011

A seguire...



L'Italia raccontata da Rino...

Tutto cambia...


Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com' è oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m'accompagne?».
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m'è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?

(Purgatorio II, 76-123).

Così Dante si lamentava dello stato miserevole del nostro paese, quando ancora Italia era soltanto un'espressione geografica. Ma oramai sono passati settecento anni e le cose sono cambiate. O no? 
Riconsiderando punto per punto le parole del poeta:

- L'Italia è oggi serva di una piccola ed egoista casta di privilegiati, tutelata da una classe politica parassitaria.

- Parte della popolazione è piena di dolore (non solo fisico, ma anche morale) nel suo vivere quotidiano e nel guardare in faccia la realtà dei fatti. Certo l'altra metà è così apatica da non rendersene nemmeno conto. Ma l'apatia di chi dorme è forse ancora più dolorosa.

- La metafora col bordello è quasi più calzante oggi che ai tempi di Dante. Non occorrono altri paragoni.

- La realtà quotidiana sembra  davvero una guerra di tutti contro tutti. L'essere membri dello stesso paese, regione, città, ufficio, fabbrica, scuola, addirittura della stessa famiglia, è sempre più spesso motivo di rivalità e non di concordia. D'altronde se il potere e la ricchezza sono nelle mani di pochi, tutti gli altri devono lottare tra loro per spartirsi le briciole.

- La gloria del nostro passato è considerata dai più solo un luogo comune da bar o qualcosa da sfruttare economicamente. La maggioranza della gente lo ignora e si vanta di ignorarlo. I pochi che lo conoscono si domandano se è davvero possibile che questo sia stato il paese della Repubblica Romana e del Rinascimento.

- La "Santa Sede", oggi come allora, invade le prerogative di uno stato debole e compiacente, mossa da avidità e dal proprio tornaconto. Curiosamente i preti dimenticano la morale, quando si tratta di comandare il bordello.

- Come Dante, alcuni pensano che l'unica soluzione sia quella di appellarsi ad un'autorità sovrastatale: non più l'impero di Arrigo, ma l'Unione Europea. Inutile dire che pensare che gli altri vengano a risolvere i nostri problemi sia stata (e sarà) un'illusione.

- Un paese dove governa un partito secessionista è un paese diviso. E quando celebra la sua unità, senza neppure rendersi conto di questa palese contraddizione, cade dal tragico nel ridicolo.

Non si tratta di uno sfogo amaro, ma della nuda e cruda constatazione della realtà.

Ma non dobbiamo affatto essere pessimisti.
Finchè ci sarà qualcuno a denunciare il male,
finchè le parole avranno ancora un valore.

Ricordiamoci che l'Italia descritta da Dante viveva effettivamente una crisi tremenda.
Ma questo non impedì che qualcuno scrivesse la Divina Commedia.