...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

martedì 25 ottobre 2011

God.

Dio è un concetto
Con il quale misuriamo
Il nostro dolore.
Lo dirò di nuovo:
Dio è un concetto
Con il quale misuriamo
Il nostro dolore.

Io non credo nella magia
Non credo nell'"I-ching",
Io non credo nella Bibbia,
Non credo a tarocchi,
Io non credo in Hitler,
Io non credo in Gesù,
Io non credo in Kennedy,
Io non credo in Buddha,
Io non credo nel Mantra,
Io non credo nel Gita,
Io non credo nello Yoga,
Io non credo nei re,
Io non credo in Elvis,
Io non credo in Zimmerman,
Io non credo nei Beatles,
Credo solo in me,
Yoko e me,
E questo è la realtà.

Il sogno è finito.
Che cosa posso dire?
Il sogno è finito,
Ieri.
Io ero il tessitore di sogni,
Ma ora sono rinato.
Io ero "the Walrus",
Ma ora sono John.
E così cari amici,
Dovete soltanto andare avanti.
 
Il sogno è finito.


Vorrei avere la capacità di scrivere parole così semplici e allo stesso tempo così profonde. 

Vorrei saperle abbinare ad una musica così dolce e sognante. 

Dire con soavità che ci siamo solo noi, su questa terra spaventosa, ad affrontare la morte dell'utopia, ad assumerci la responsabilità di rinascere. 

Insieme.

Ma sono felice che John ci abbia pensato per me. 

sabato 22 ottobre 2011

Vedere gli occhi di un uomo che muore.

Se Gheddafi avesse ucciso una persona a me cara e se poi l'avessi avuto davanti, in mio potere, cosa avrei fatto?
Se Gheddafi per lunghi decenni avesse oppresso la mia patria, non avrei forse sognato di sopprimerlo, di porre fine alla sua crudeltà? 
Domande cui non so rispondere.
Quello che so è che lo spettacolo che ho visto nei giorni scorsi, quello di un uomo inerme, terrorizzato, forse ferito a morte, non mi ha suscitato rabbia, bensì una pietà immensa, così forte da tradursi in malessere; e nausea profonda, quando all'individuo martoriato si è sostituito un freddo cadavere.
Io in quei fotogrammi confusi non sono riuscito a riconoscere il folle dittatore, ma soltanto un piccolo uomo. 
Attorno a lui folle di persone fuori di sé, inebriate dalla vittoria e dalla sua agonia, bramose della sua fine. 
E le folle, si sa, sono la cosa più disumana che esista.
Volete la pazza verità?
Quando quelle scene di violenza estrema mi balenavano sotto gli occhi, mi tornavano alla mente i tempi in cui andavo a pescare: nello sguardo vacuo e stordito di colui che era stato il più potente, riconoscevo quello del  pesce ingannato, forato sul muso e obbligato alla lenta asfissia dell'aria aperta, in religiosa attesa della sentenza: essere ributtato nel lago oscuro o morire brutalmente sbattuto su una pietra. 
Come in Italia anni fa, con Mussolini, e come con mille altri dittatori in ogni luogo ed epoca, ha vinto la brutalità, la vendetta servita calda. Il più grande prepotente diventa il capro espiatorio, viene linciato perché con lui muoia tutto il male che ha provocato. Una cruenta palingenesi che banalizza la realtà e fa tutti buoni a fronte di un solo cattivo. Non importa che l'ordine nuovo poggi su molte figure che avevano allegramente sguazzato negli anni fiorenti del regime. Ciò che conta è che la facciata sia salva, che il malvagio muoia senza avere tempo di indicare con il dito, uno ad uno, coloro che l'hanno tradito. 
Una storia vecchia, dicevo.
Però io non volevo parlare di storia o di politica, ma di semplice pietà.
Come può un ordine nuovo di pace e di giustizia fondarsi su un assassinio, per quanto motivato esso sia?
Neppure la Chiesa, mi pare, ha mostrato ufficialmente un briciolo di pietà per il tiranno ammazzato, mentre Gesù non esitò a redimere il ladrone agonizzante sulla croce: e quando fu decisa la sua morte, decise di non reagire, affermando che la violenza genera altra violenza, l'assassinio altri assassinii.  
Ma non sono valori solamente cristiani, quelli che cerco di esprimere, bensì valori laici, ovvero che possono coinvolgere l'intera umanità. E prima che valori, sono sentimenti; compassione significa infatti soffrire insieme alla persona che si ha dinnanzi. Essa si trasforma poi in un principio morale, la pietà.
Avere compassione di un uomo, chiunque egli sia, rinunciare alla propria vendetta in nome della giustizia, scegliere d'essere superiori ad un branco di animali ... soltanto quando ciò accadrà nutrirò qualche speranza in più nella redenzione terrena dell'uomo e un ragionevole ottimismo sulle "magnifiche e progressive" sorti dei popoli. 
  





  

mercoledì 19 ottobre 2011

Sul caso Caterina/Politi: una riflessione.


E' già di per sé inammissibile che il direttore di una rivista risponda in modo così poco elegante alle domande di una ragazza indignata, per quanto il suo tono possa essere provocatorio o prevenuto.
Ma la vera assurdità si svela solo nel momento in cui ci si prende la briga di leggere l'annuncio incriminato, all'origine dell'acceso scambio di e-mail tra la giovane Caterina e Giancarlo Politi, direttore di Flash Art.
La vicenda dovrebbe essere ormai nota, visto che circola in rete da giorni, ma per un riassunto rimando all'articolo pubblicato oggi sul Fatto Quotidiano.
In realtà, ero già a conoscenza dell'accaduto grazie alla lettura di quest'altro articolo, pubblicato sul sito di Artribune, che ha fomentato un vero putiferio nel commentario. Dopo un paio di giorni di riflessioni, non ho potuto fare a meno di intervenire, con quanto segue.


Il problema non sono tanto quei requisiti, qui sopra elencati; a mio parere il vero problema è la premessa (cito testualmente):


"Preghiamo dunque di rispondere al presente annuncio SOLO a chi possiede i requisiti richiesti e a chi può mantenersi per parecchi mesi a Milano".


Il fatto che, anche per uno stage senza retribuzione, vengano chiesti i  requisiti di una persona davvero qualificata, che magari ha già avuto qualche esperienza nel settore, non mi scandalizza. Credo anzi che sia giusto. Oggi una laurea (almeno in Italia) non fa la differenza. Le università sono sovraffollate, soprattutto nelle facoltà umanistiche il livello è molto basso perché ancora non esiste il numero chiuso, quindi quei pochi che davvero si impegnano e approfondiscono rimangono sotterrati sotto il peso dei più che frequentano per mancanza di fantasia e di alternative e impiegano il doppio del tempo stabilito per ottenere il titolo. Che un corso di Lettere Moderne sia frequentato da persone che non sanno che "se" è una congiunzione o che "qual è" si scrive senza apostrofo dovrebbe dare a tutti la misura di un livello scandalosamente basso, al quale progressivamente, affinché l'università non scenda in classifica, i docenti si adattano, abbassando le pretese e alzando i voti.
Finché non ci sarà una selezione all'ingresso, solo una minima parte dei laureati sarà costituita da persone davvero qualificate o meritevoli, che durante il percorso universitario avrà anche approfondito l'inglese e magari studiato una o due lingue in più; che legge molti libri, giornali o riviste al di là dello studio; che tenta qualche esperienza lavorativa - non retribuita - per farsi un po' di esperienza con la gavetta, invece che con l'esibizione della scollatura.
Ma detto tutto questo, mi chiedo: è giusto che tra questi fondamentali requisiti per accedere a un colloquio ci sia anche quello di essere benestanti e di potersi quindi permettere di vivere "per un po' di tempo" nella carissima Milano?
Torniamo ai tempi in cui solo i figli dei ricchi potevano sperare di costruirsi una carriera e gli altri dovevano seguire le orme dei genitori per poter mangiare?
A me non spaventa che ci siano persone maleducate come Giancarlo Politi (perché al di là delle sue ragione o di quelle di Caterina, è stato profondamente maleducato nelle sue risposte). E' un arrogante e la sua arroganza deriva fondamentalmente dalla sua posizione, direi praticamente inattaccabile. Da persone così saremo sempre circondati, purtroppo. Mi spaventa che si stia a riflettere su quanto convenga ad Artribune prendere le difese di Flash Art, che persone deluse da passate esperienze sfoghino fuori luogo il proprio rancore, che si stia a disquisire sull'uso più o meno improprio di un paragone con una mignotta d'alto borgo...e non sulla follia di una società che favorisce sempre il più abbiente e non riconosce mai il vero merito. Il merito non verrà mai premiato o aiutato, in questo paese. Prendiamo, per esempio, un figlio di operai, che hanno fatto tanti sacrifici per potergli permettere di studiare, che magari è laureato con 110 e lode e senza aiuti, perché i suoi genitori non hanno contatti, né tanto meno soldi da buttare, che magari da un paio d'anni scrive su riviste gratuitamente, ha un paio di diplomi di lingua e sa usare il Mac. Ecco, non potrà accedere al colloquio perché...la sua intelligenza e i soldi spesi per farlo studiare non sono sufficienti per garantirgli un futuro di successo? Probabilmente sarà un figlio di papà, meno preparato e meno intelligente, a prendersi quel posto. Perché a fare la differenza è il conto in banca. E allora sì, se si ha bisogno di lavorare, pur con una laurea in mano, si deve optare per il Mc Donald. Questo è preoccupante. Ed è un problema che non riguarda solo Flash Art.


giovedì 13 ottobre 2011

Non cosa vedi, ma COME lo vedi...





Mentre la gente passeggiava annoiata o ubriaca (in fondo era lo stesso), mentre i contadini dormivano "il sonno dei giusti", quell'uomo solitario non smetteva di perdere il suo sguardo nel cielo. Non serviva altro, quella notte.

Mr. Bach likes it too...

Bach non se lo sarebbe mai aspettato. Eppure non credo gli dispiaccia. Hanno preso la sua Bourée, l'hanno immersa in un secolo nuovo. Rock, folk, classica, le etichette non importano: la bellezza sopravvive al tempo. Intangibile nella sua eternità, riesce al contempo ad essere misteriosamente ibrida, a mutare il volto senza smarrire l'essenza. L'importante è che i suoi interpreti siano dotati di sensibilità, gusto e quel tanto di follia necessaria per osare. Competenza che non difetta, almeno per i Jethro Tull ...




Perché tutti prima o poi ...

Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte. 
Anzi, la accarezziamo, la pregustiamo, la assaporiamo. 
Dolcemente.
Certo per i più queste non sono fantasticherie di tutti i giorni. Sono sogni strani, che sfuggono alla sequela della quotidianità, ma sono comunque incatenati a una qualche forma di ricorrenza; irregolare, ma fatale. Succede, per dirlo con Melville, quando lo spleen ci comanda e la circolazione diventa pure essa irregolare; quando abbiamo bisogno di un ferreo imperativo morale per fissare nelle pupille la gente; quando abbiamo nell'anima "un novembre umido e stillante". 
Una fantasia strana, la morte, tessuta di nulla, scaturita da un folle bisogno di attenzione, di un briciolo autentico d'importanza. Tra tutti i sogni questo è quello più egoista. Noi siamo il personaggio mancante, è vero, ma allo stesso tempo siamo pure il regista e lo sceneggiatore. Noi a scrivere le battute, noi a selezionare le inquadrature. E tutte le persone che sappiamo amarci, ma che accusiamo di non mostrarcelo abbastanza, lì intorno a noi, a piangere e piangere, a sentirsi in colpa. 
Perverso l'essere che gode dell'altrui angoscia, dell'altrui impotenza ... 
Intanto l'inquadratura allucinata scivola voluttuosa tra i volti abbacinati di chi non se lo aspettava, di coloro che se ne fregano. Ma non importa. In qualche modo abbiamo ottenuto la loro attenzione, in qualche modo la loro vita è coinvolta e toccata inesorabilmente, a causa di una nostra azione, anzi della nostra eterna inabilità ad agire.
E così scopriamo nel nostro venir meno un social network inesorabile, che collega all'istante, in un solo sentimento fatto di mille individuali gradazioni, ogni disparato partecipante del mondo a noi circostante, dei tempi che abbiamo solcato. Maestre d'asilo, vecchi amici dimenticati, bulli odiati durante l'infanzia, professori e conoscenti, amori e indifferenze, tutto il nostro scibile di individui e persone a danzare attorno al nostro cadavere. Da morti, non siamo mai stati tanto vivi. 
Aggiungerò che questa fantasia ha molteplici varianti. Esiste quella punitiva, ovvero immaginarsi morti per punire qualcuno che ci ha appena offeso e godere dell'altrui sfrenato senso di colpa e naturalmente del singhiozzato riconoscimento di avere avuto torto. Poi esiste quella auto-punitiva, magari per avere per un millisecondo concepito (desiderato?) la morte di una persona cara, oppure per il semplice fatto di sentirsi un verme. Segue la fantasia di morte collettiva, dove assieme a noi periscono persone a noi care e solo pochi a contemplare tale rovina. Questa mi sembra più che altro una variante. E così ad libitum.
Ignoro il motivo di tali ciclici vaneggiamenti, ma ho il sospetto che siano in qualche modo salutari, apotropaici. Il fatto di gettare il nostro sguardo sul nulla che verrà dopo, implica forse la speranza che nulla non sarà, che la vita resterà acquattata dietro lo schermo. Una sorta di rito di espiazione e di rinascita, cui nessuno sfugge.
Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte.

lunedì 10 ottobre 2011

lunedì 3 ottobre 2011

Vicino a te.




Ricordi via Roma,
 la luna rideva,
lì ti ho scelto e voluto per me.
Mi guardavi e parlavi
  dei volti tuoi strani,
 degli occhi cui hai tolto l'età.  
E ora si scioglie la sera
 nei pernod, nei caffè,
 nei ricordi che abbiamo di noi ... 





Vinicio Capossela, Modì

To kill a mockingbird.

Mi chiedo perché, traducendo, spesso sia necessario cambiare il titolo di un libro. Parlo di "Il buio oltre la siepe" di Harper Lee. Non che il titolo in italiano non abbia senso, solo ha un senso diverso rispetto a quello originale. To kill a mockingbird significa, più o meno, uccidere un merlo, o un usignolo. E fa riferimento a un aspetto preciso della storia. Il buio oltre la siepe è una metafora per indicare un altro aspetto della storia. Tutti e due sono importanti, finemente intrecciati l'uno all'altro. 
E' incredibile poi come alcuni adulti non dimentichino mai di essere stati bambini. Ecco, questa storia è narrata attraverso i ricordi di una bambina, con la voce, l'ingenuità e l'intelligenza di una bambina. Pura poesia, quasi leggerezza, per affrontare un tema difficile e che purtroppo non smette mai di essere attuale, per quanto lo camuffiamo con altri nomi o ideologie. E' vero, proprio per questo è uno dei libri nella top ten di Barack Obama e quando lo comprate in libreria c'è una bella fascetta rossa a ricordarvelo: tipica mossa pubblicitaria che a me generalmente fa scappare la poesia, come si suol dire. Invece è bellissimo, per davvero.
Mi piace inserire citazioni, di solito, quando consiglio la lettura di un libro. In questo caso non lo farò.
Dirò solo: chi ha atteso tanto tempo, come me, per leggerlo, lo faccia al più presto.