...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

domenica 14 novembre 2010

Emblemi e presagi 2




La vera prigione


Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un'intera generazione
E' il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E' questo
E' questo
E' questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.







Lo ha scritto Ken Saro-Wiwa, ormai anni fa.
E io non so se già allora lui sapesse di scrivere non solo per sè e per il suo popolo.

Emblemi e presagi

http://www.youtube.com/watch?v=kFUVaXQZS9M&feature=related


E' un video che si commenta da solo. Le forze dell'ordine diventano un potere arbitrario e spaventoso, che se la prende con cittadini inermi, i quali cercano solamente di esprimere un loro diritto. La scena del ragazzo portato via, del vicequestore, che poi urla "Caricate", è indegna di ogni sentimento di umanità e di ogni senso dell'onore. La città dove avviene tutto ciò è la benestante e benpensante Brescia, dove alcuni immigrati si sono issati su una gru rischiando la propria vita per un briciolo di attenzione; hanno cercato di regolarizzare la propria posizione di clandestini e sono stati ingannati due volte, prima dai propri datori di lavoro, poi dallo Stato, uniti nell'estorcere loro del denaro mai reso; e adesso per questo tentativo rischiano l'espulsione. Ma non vi ricordano qualcuno quei poveracci là sopra, al freddo, vittime di un potere più forte di loro, vittime di un intrico di leggi tramate al solo scopo di ingannarli e impoverirli, appese ad un filo?
Queste persone sono l'emblema di un paese sul baratro, nelle mani di una classe dirigente peggiore di esso e cieca rispetto alle nozioni basiche di qualsiasi forma di morale. Ironia della sorte vuole che tale compito spetti proprio a degli extracomunitari. Eppure la gente picchiata e minacciata là sotto riesce a donarmi ancora un minimo di speranza in una possibile reazione. Temo, al contempo, che la violenza della polizia sia a sua volta emblematica di quello che i poteri forti di questo paese risponderanno a chiunque aspiri al rinnovamento.
Ma non è certo il momento di avere paura. Anzi, per citare quanto diceva Benigni pochi giorni fa, forse è l'ora di restare e guardare i nostri fantasmi negli occhi.  


Per una sola speranza: http://www.youtube.com/watch?v=s7pso6STv8E

venerdì 5 novembre 2010

Ballata d'autunno.

Ballata d'autunno.

Piove
dietro ai vetri,
piove
e piove
sui pioppi già sfogliati,
sui tetti bruni,
sui campi,
piove.

Hanno dipinto di grigio il cielo
e il suolo si è avvolto di foglie,
ha cominciato a vestirsi d'autunno.
La sera che s'addormenta
sembra un bambino cullato dal vento,
con la sua ballata d'autunno.

Una ballata d'autunno,
un triste canto di malinconia
che nasce al morire del giorno.
Una ballata d'autunno,
a volte come un mormorio
e a volte come un lamento.
A volte vento.

Ti potrei raccontare che sta bruciando
l'ultima mia legna nel focolare,
che oggi sono molto povero
e che per un sorriso do tutto ciò che sono
perchè sono solo e ho paura.
Se solo tu fossi capace di vedere
gli occhi tristi di una lampada
e di parlare con quella porcellana
che ieri ho scoperto
e che, per un momento,
è divenuta donna,
allora
dimenticando il mio domani e il tuo passato
torneresti da me.

La sera se ne va e mi lascia
il lamento che domani sarà vecchio
d'una ballata d'autunno.


Juan Manuel Serrat.



Leggere le parole di un cantautore senza ascoltare la musica che le accompagna è un atto di ingiustizia; cercare di tradurle nel proprio idioma rasenta il tradimento o la lesa maestà. Eppure oggi ho ascoltato e letto questa canzone di Serrat e mi ha toccato. Il testo non è nulla di speciale, si limita a radunare alcuni luoghi comuni sull'autunno, sulla pioggia (che a noi ricorda D'Annunzio) e sulla solitudine. Eppure secondo me riesce a creare un'alchimia, qualcosa di valore; avverto la sincerità di queste parole, di questa canzone. Una piccola lezione su come spesso,per trovare l'emozione e la bellezza,non occorre fuggire dal consueto e dal canonico, ma semplicemente saperlo ricombinare con gusto ed incanto.

Ps:il link della canzone è http://www.youtube.com/watch?v=RdtuGyG2E-s
Non c'è cosa più malinconicamente autunnale di un piano alla Satie..