...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

giovedì 29 settembre 2011

La vera arte è vita essenziale e la vita essenziale è arte.


"Per dirla in breve tutto ha forma, e ogni forma ha significato. Cultura è la capacità di riconoscere questa qualità. Se siete d’accordo con me sul fatto che la religione praticata solo la domenica non sia affatto religione, allora condividerete anche che godere l’arte solo nei musei, o usarla come fonte di svago o ricreazione nei momenti di disimpegno non dimostra alcuna comprensione dell’arte.
Se l’arte è un aspetto essenziale della cultura e della vita, allora non dobbiamo più far sì che i nostri allievi diventino storici dell’arte o imitatori del passato ma, piuttosto, dobbiamo educarli alla visione dell’arte, all’operare artistico e, ancor più, al vivere artistico. Poiché la visione e il vivere artistici sono un vedere e un vivere più profondi – e la scuola deve essere vita – dal momento che sappiamo che la cultura è ben più della conoscenza, a scuola abbiamo il dovere di porre tutte le arti, relegate finora in un ruolo decorativo, al centro dell’educazione, come stiamo cercando di fare al Black Mountain College.
Per mettere a fuoco questo obiettivo, dobbiamo promuovere nella scuola una connessione più stretta, o meglio una compenetrazione, di tutte le discipline artistiche e degli intenti artistici della vita scolastica, e ciò dimostrerà che i problemi sono in gran parte gli stessi in ogni settore delle arti.
Impareremo dall’analogia dei problemi comuni – ad esempio, problemi di equilibrio e proporzioni – che si tratta di questioni che riguardano anche la nostra vita quotidiana.
Mentre si supera il separatismo accademico, a scuola dobbiamo mettere in relazione quanto più è possibile scienza e arte. Non è forse vero, ad esempio, che alcuni periodi storici sono meglio identificati dalla loro architettura o dalla loro iconografia, piuttosto che dai loro conquistatori e dalle loro guerre? E che alcuni costumi ci dicono, spesso, molto di più di tante regine? In generale, la storia dovrebbe considerare la vita più importante della morte e la cultura come una cosa più seria della politica.
[...]
Il nostro obiettivo è lo sviluppo complessivo di un giovane dallo sguardo e dalla mente aperti, che indaghi a fondo i crescenti problemi spirituali del nostro tempo, che non sia refrattario all’ambiente in cui vive e che guardi avanti con la consapevolezza che interessi e bisogni cambiano. Un giovane che abbia sufficiente spirito critico da riconoscere che le cosiddette ‘buone vecchie forme’ talvolta possono essere troppo utilizzate e alcune opere che per i nostri genitori sono capolavori a noi non hanno nulla da dire; un giovane che abbia rispetto per la serietà del lavoro e delle opere, anche se inizialmente potranno sembrargli nuove e strane e che sia capace di sospendere il giudizio fino a quando non abbia le idee sufficientemente chiare per giudicare, consapevole che la propria esperienza, i frutti della sua ricerca e un giudizio indipendente valgono molto di più della riproposizione della conoscenza contenuta nei libri.
Sappiamo che da brevi studi scolastici non possono formarsi critici d’arte competenti. Pertanto, al Black Mountain siamo soddisfatti quando un nostro allievo, ad esempio, riconosce una connessione fra un’immagine moderna e la musica di Bach, o una relazione fra pattern tessili e la musica; o, ancora, se è in grado di distinguere fra la forma-carattere di una brocca di porcellana e quella di una brocca di vetro o di alluminio; o di riconoscere la differenza fra una pubblicità del 1925 e una del 1935; o quando scopre che nell’arte possiamo ancora fare esperienza della rivelazione e della meraviglia.
Vogliamo un allievo che non veda l’arte né come un salone di bellezza né come imitazione della natura, che la veda come qualcosa di più di un ornamento o di un intrattenimento, che la senta come una documentazione spirituale della vita e capisca che la vera arte è vita essenziale e la vita essenziale è arte
."

Josef Albers, ottobre 1935
da un articolo pubblicato su "Progressive Education"

venerdì 23 settembre 2011

Abituarsi all'orrore.

Come in un lampo, la lunga, coatta permanenza nella piccola stazione gli fece comprendere i meccanismi dell'uniformazione e del rincoglionimento generale. Annunci pubblicitari iterati e iterati, fino alla nausea dell'infinito, brandelli ossessivi di canzoni, voci disumane snocciolanti il loro credo: "Compra!".
L'aria era satura di decadenza, densa d'assenza di pensiero. L'eco di quelle pubblicità era irresistibile: scendeva nelle profondità dell'anima, imprimeva il suo eterno sigillo sui suoi neuroni innocenti.
Prima non era così. Poi dal nulla queste voci, e nessuno a lamentarsi. In effetti nessuno pareva averle notate e così erano divenute il "normale" sottofondo della piccola stazione.
Tanto radicato da non badarci più, esattamente come la pubblicità tra le pause dei film, che fissiamo a bocca spalancata senza ragione, per forza d'inerzia. 

Per forza d'inerzia il brutto e la volgarità stanno sempre più invadendo i nostri spazi vitali, i luoghi comuni che ospitano il nostro passare. Colpa, per dirla con gli antichi commediografi Greci, della "disaffezione dei più al bello".