...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

sabato 23 ottobre 2010

Le ritirate senza via di fuga.

Lei lo trascina fuori dalla festa. Lontano.
Finalmente gli ululati degli ubriachi si placano.
Vogliono stringersi e baciarsi.
Inteneriti dall'affetto, sciolti dalla foga, non riescono più a camminare. Ogni loro passo si smorza in un abbraccio.
Lui vorrebbe essere ancora più distante; avverte con fastidio come tutto e tutti siano troppo vicini. Ma non trova un altrove. Le strade festanti sono ricolme di gente e la luce deborda da ogni finestra. Nessun angolo d'ombra all'orizzonte. All'improvviso intuisce che esattamente come per lei la festa era troppo chiassosa, troppo sfrenata, troppo festa, così per lui ora la citta è troppo illuminata, troppo abitata, troppo città.
Le ritirate senza via di fuga non sono sempre patetiche, soprattutto quando ti accorgi che costituiscono il tuo solo istante di respiro in una prolungata apnea di protocollare distanza.
E adori quando lei ti si stringe vicina, quando avverti la sua necessità di sentire la tua pelle, il tuo corpo. Non è libidine, nè volgare brama, ma la felicità di scoprire libera in lei la passione che ogni giorno misura e raffrena. Ti perdi nei suoi occhi verdi che luccicano come non mai, nel suo sorriso abbandonato e nelle sue mani, tese su di te come onde di alta marea.
Poi tutto sfuma.
Lui si ritrova a tentare di annegare in un bicchiere amaro la bellezza sfuggente.
Sconfitto, abbandona il drink sul bancone e barcollante se ne va tra gli ubriachi.
Forse stanotte riuscirà a non stare male.

Il senso di Majakovskij.

Ancora Pietroburgo
Negli orecchi i frantumi d'un accaldato ballo
e da Nord - più canuta della neve - una nebbia
dal viso di cannibale assetato di sangue
masticava gli insipidi passanti.
Le ore incombevano come un volgare insulto,
incombono le cinque e sono poi
le sei. Ci sta ad osservare dal cielo una canaglia
maestosamente come un Lev Tolstoj.


Il poeta mi accompagna in un mondo di impressioni vivide e confuse, in un'orgia di sensazioni; all'eco indistinta del ballo si sovrappone l'ansia bianca di una nebbia incombente, che sazia le pupille e deborda dall'anima. Poi il tempo e la volgarità, mano nella mano, incedono signorilmente sulla nostra pelle, mentre ricerchiamo nella ragione, in Dio, o nell'ipocrisia, un senso di suprema comprensione, di bonaria rassegnazione.
Siamo davanti al significato di un sogno qualsiasi o al senso di ogni esistenza?

giovedì 21 ottobre 2010

Un buon caffè: ovvero come ritagliarsi uno spazio.

Camminavo per strada. Di mattina fa freddo e le tracce dell’umidità notturna coprono ogni cosa. Ero con il mio cagnolino, per la sua prima passeggiata mattutina. Generalmente sono piuttosto impresentabile, soprattutto quando lui è particolarmente insistente nella sua richiesta di uscire. Stamattina, quando mi sono chiuso in bagno per lavarmi denti e faccia, si è buttato con tutto il suo peso contro la porta, per essere sicuro che avessi capito bene che aveva fretta. Ho infilato le prime cose trovate in giro, ovvero le ultime che avevo tolto la sera, prima di mettere il pigiama. Non ero un bijou. E come ogni mattina ho incontrato “il padrone della Chicca”. La Chicca è un’anziana cagnolina, spelacchiata, con gli occhietti lucidi, molto molto rallentata nei movimenti. Pumba, il mio cagnolino, le vuole bene. Quando la scorge da lontano, comincia a tirare come un forsennato con le orecchie dritte verso l’alto e la lingua di fuori. Così è stato inevitabile che io e “il padrone della Chicca” diventassimo amici. “Il padrone della Chicca” è un anziano signore, con gli occhi lucidi e buoni, che trascorre le sue giornate tra una passeggiata della Chicca e l’altra. La Chicca e il suo padrone abitano in un palazzo dietro al nostro. Di solito parliamo di cani. Come stanno, quante passeggiate hanno già fatto quel giorno, se sono di buon umore o meno, che tipo di guinzaglio usiamo e perché. A volte ci spingiamo oltre e chiacchieriamo del tempo. Oggi però abbiamo fatto il grande passo: “il padrone della Chicca” mi ha offerto un caffè. E’ stato bello, un gesto sincero e gratuito, una scusa per scambiare qualche parola in più e un buon motivo per sorridere. E’ sempre rincuorante incontrare persone buone. Forse il mondo non è così terribilmente brutto e se ogni giornata iniziasse con un gesto buono come questo – un caffè offerto a uno sconosciuto senza nome, una chiacchierata senza fretta e senza nessuno scopo oltre a quello di “ritagliarsi un piccolo spazio” – forse sarebbe sempre meno brutto. Perché in fondo, è stata una delle migliori giornate degli ultimi tempi e io credo che sia soprattutto merito del “padrone della Chicca”.

mercoledì 20 ottobre 2010

Strani tempi.

Sono tempi strani, tempi strani in una stagione confusa. Il primo freddo, il cielo lattiginoso, il corpo che faticosamente si abitua al cambiamento. L’autunno, che tinge ogni cosa di colori meravigliosi, sottrae in breve tempo le tinte di cui fa dono ai nostri occhi: l’ultima illusione prima dell’inverno, forse un presagio della primavera – così lontana – come a dire: “abbiate fede, i colori torneranno”.
Sono tempi in cui preferiremmo che ogni cosa intorno a noi, in qualche modo, funzionasse.
E invece siamo costretti a vederci sottrarre, insieme ai colori, anche altro. E certamente non dall’autunno. Leggevo sul numero di settembre del Giornale dell’Arte un articolo terrificante sulla poca attenzione rivolta dalla politica alla cultura. Ho riflettuto sulla scomparsa di figure vitali come quelle dei mecenati di una volta. Perché in fondo, oggi, le cose non sono poi tanto cambiate. Sicuramente viviamo in situazioni più agiate dei poveri di un tempo, ma dovremmo protestare (e dico dovremmo, perché chi poi lo fa davvero? Se poi pensiamo che chi tenta l’impresa viene zittito prima ancora di poter aprire bocca…) per gli stessi motivi per cui un giorno in Francia venne decapitato il Re e in Russia fucilata la famiglia Romanov: perché pochi vivevano sulle spalle di tanti, ignorando volutamente le condizioni di vita del proprio popolo, guadagnando e possedendo cifre esagerate per fare poco o niente. A pensarci bene, quindi, che cosa hanno di diverso i nostri politici di oggi, rispetto a re, duchi, conti e principi di una volta? Trovo molti punti in comune, piuttosto. La ricchezza spropositata, le abitazioni lussuose e inutilmente grandi, le feste regali e riservate a un’élite ristretta, la corruzione e gli intrighi di palazzo, lo scarso interesse nei confronti della realtà. E in tutto ciò riesco a trovare almeno una cosa buona, in quei re, principi, duchi e cardinali: che almeno,loro, finanziavano (anche se per scopi più o meno condivisibili) la bellezza per sé stessa. Perché una scultura, un quadro, un edificio potevano dare lustro al committente, abbellire per tutti e restare per il futuro. Oggi chi spenderebbe i propri soldi per qualcosa che non abbia un immediato riscontro pratico, un guadagno facile e istantaneo?
Sono tempi frettolosi, questi, oltre che confusi. Si ha tanta fretta di fare e andare (cosa? dove?) che ciò che di bello comunque esiste, nella maggior parte dei casi, ci passa accanto inosservato. E per la fretta di avere tutto, e di averlo presto, il nostro paese, per colpa di chi non si sa, perché questa situazione pone le sue radici sicuramente lontano nel tempo, almeno di venti anni, sta andando alla deriva. Molto velocemente, come richiesto dai tempi, senza riguardo per la calma e la dolcezza, ché quasi vien paura di risvegliarsi una mattina incanutiti e con una ruga di troppo…senza nemmeno essersene accorti.
Non nascondo il mio timore. Mi domando se la libertà non sia stata sempre nient’altro che un’illusione, qualcosa in cui sperare e nella quale si finisce per non credere affatto. Io che ora non mi sento libero di decidere per il mio futuro, voglio almeno avere la libertà di guardare il mondo con i miei occhi. Di decidere io cosa sia bello e cosa no, cosa sia arte e cosa no, cosa sia vero e cosa sia falso, cosa sia buono e cosa cattivo. Voglio avere la libertà di imparare e di conoscere, di informare ed essere informato, di insegnare e di imparare. Sono tempi confusi oppure abbiamo sempre fatto tanta confusione – siamo stati tanto confusi – al punto da non essere più in grado di distinguere i colori?
 

martedì 19 ottobre 2010

Gli angeli non danno appuntamenti.

Ci dicono continuamente che nessuno è al sicuro, ma questo lo sapevo già e non è mai stata una buona scusa per barricarmi dentro casa, la tele accesa e la porta chiusa.
Non sono un estimatore scatenato di Jovanotti e mai avrei pensato di iniziare un qualsiasi testo da una sua citazione: questo per svariate ragioni, non ultime un poco di snobismo intellettualistico ("non è un vero cantautore") ed il timore di apparire quasi adolescenziale. Cominciare oggi dalle sue parole è un modo di smentirmi e di ammettere la mia presupponenza, di confessare che trovo molti dei suoi testi attuali e pieni di vita, di significato. E' una confessione idiota, lo so. Ma è un inizio, un piccolo espediente per dimostrare che gli scarti di prospettiva dai nostri preconcetti non ci feriscono, nè ci violentano, ma ci arricchiscono.
La maggior parte delle persone che conosco vive chiusa in una routine preordinata, che si ripete senza mutamenti sostanziali: tutti sono appartentemente felici di quelle che chiamano intimità o quotidianità.
Eppure quando la vita, anche solo per un istante, li spinge sino a perdere l'equilibrio e mostra loro qualcosa di nuovo, di diverso, tutti ondeggiano straniti, attratti dalla novità e dal suo affascinante pericolo. Ma la forza del consueto (cioè la paura) ha sempre la meglio e mentre riprendiamo l'equilibrio e ripieghiamo spaventati nel nostro mondo, finiamo per convincerci che doveva andare così. Stasera io scrivo per combattere questo fatalismo, per regalarmi la speranza di essere libero e imprevedibile, di poter decidere, quando lo desidero, di visitare una città distante, di iniziare dal nulla un blog, di citare un cantante che fingo di disprezzare. E serve molta meno fatica di quello che sembra, soltanto un poco di fantasia, di libertà e la volontà di guardare con lenti diverse il nostro vivere quotidiano. Ogni volta che farete questo, qualsiasi cosa  insignificante e bizzarra decidiate di compiere, non esitate a chiamarvi poeti.
Perchè la bellezza va conquistata lontano dalle vie dell'ordinario e perchè, come dice Gaber, gli angeli non danno appuntamenti.