...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

mercoledì 20 ottobre 2010

Strani tempi.

Sono tempi strani, tempi strani in una stagione confusa. Il primo freddo, il cielo lattiginoso, il corpo che faticosamente si abitua al cambiamento. L’autunno, che tinge ogni cosa di colori meravigliosi, sottrae in breve tempo le tinte di cui fa dono ai nostri occhi: l’ultima illusione prima dell’inverno, forse un presagio della primavera – così lontana – come a dire: “abbiate fede, i colori torneranno”.
Sono tempi in cui preferiremmo che ogni cosa intorno a noi, in qualche modo, funzionasse.
E invece siamo costretti a vederci sottrarre, insieme ai colori, anche altro. E certamente non dall’autunno. Leggevo sul numero di settembre del Giornale dell’Arte un articolo terrificante sulla poca attenzione rivolta dalla politica alla cultura. Ho riflettuto sulla scomparsa di figure vitali come quelle dei mecenati di una volta. Perché in fondo, oggi, le cose non sono poi tanto cambiate. Sicuramente viviamo in situazioni più agiate dei poveri di un tempo, ma dovremmo protestare (e dico dovremmo, perché chi poi lo fa davvero? Se poi pensiamo che chi tenta l’impresa viene zittito prima ancora di poter aprire bocca…) per gli stessi motivi per cui un giorno in Francia venne decapitato il Re e in Russia fucilata la famiglia Romanov: perché pochi vivevano sulle spalle di tanti, ignorando volutamente le condizioni di vita del proprio popolo, guadagnando e possedendo cifre esagerate per fare poco o niente. A pensarci bene, quindi, che cosa hanno di diverso i nostri politici di oggi, rispetto a re, duchi, conti e principi di una volta? Trovo molti punti in comune, piuttosto. La ricchezza spropositata, le abitazioni lussuose e inutilmente grandi, le feste regali e riservate a un’élite ristretta, la corruzione e gli intrighi di palazzo, lo scarso interesse nei confronti della realtà. E in tutto ciò riesco a trovare almeno una cosa buona, in quei re, principi, duchi e cardinali: che almeno,loro, finanziavano (anche se per scopi più o meno condivisibili) la bellezza per sé stessa. Perché una scultura, un quadro, un edificio potevano dare lustro al committente, abbellire per tutti e restare per il futuro. Oggi chi spenderebbe i propri soldi per qualcosa che non abbia un immediato riscontro pratico, un guadagno facile e istantaneo?
Sono tempi frettolosi, questi, oltre che confusi. Si ha tanta fretta di fare e andare (cosa? dove?) che ciò che di bello comunque esiste, nella maggior parte dei casi, ci passa accanto inosservato. E per la fretta di avere tutto, e di averlo presto, il nostro paese, per colpa di chi non si sa, perché questa situazione pone le sue radici sicuramente lontano nel tempo, almeno di venti anni, sta andando alla deriva. Molto velocemente, come richiesto dai tempi, senza riguardo per la calma e la dolcezza, ché quasi vien paura di risvegliarsi una mattina incanutiti e con una ruga di troppo…senza nemmeno essersene accorti.
Non nascondo il mio timore. Mi domando se la libertà non sia stata sempre nient’altro che un’illusione, qualcosa in cui sperare e nella quale si finisce per non credere affatto. Io che ora non mi sento libero di decidere per il mio futuro, voglio almeno avere la libertà di guardare il mondo con i miei occhi. Di decidere io cosa sia bello e cosa no, cosa sia arte e cosa no, cosa sia vero e cosa sia falso, cosa sia buono e cosa cattivo. Voglio avere la libertà di imparare e di conoscere, di informare ed essere informato, di insegnare e di imparare. Sono tempi confusi oppure abbiamo sempre fatto tanta confusione – siamo stati tanto confusi – al punto da non essere più in grado di distinguere i colori?
 

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