...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

giovedì 13 ottobre 2011

Perché tutti prima o poi ...

Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte. 
Anzi, la accarezziamo, la pregustiamo, la assaporiamo. 
Dolcemente.
Certo per i più queste non sono fantasticherie di tutti i giorni. Sono sogni strani, che sfuggono alla sequela della quotidianità, ma sono comunque incatenati a una qualche forma di ricorrenza; irregolare, ma fatale. Succede, per dirlo con Melville, quando lo spleen ci comanda e la circolazione diventa pure essa irregolare; quando abbiamo bisogno di un ferreo imperativo morale per fissare nelle pupille la gente; quando abbiamo nell'anima "un novembre umido e stillante". 
Una fantasia strana, la morte, tessuta di nulla, scaturita da un folle bisogno di attenzione, di un briciolo autentico d'importanza. Tra tutti i sogni questo è quello più egoista. Noi siamo il personaggio mancante, è vero, ma allo stesso tempo siamo pure il regista e lo sceneggiatore. Noi a scrivere le battute, noi a selezionare le inquadrature. E tutte le persone che sappiamo amarci, ma che accusiamo di non mostrarcelo abbastanza, lì intorno a noi, a piangere e piangere, a sentirsi in colpa. 
Perverso l'essere che gode dell'altrui angoscia, dell'altrui impotenza ... 
Intanto l'inquadratura allucinata scivola voluttuosa tra i volti abbacinati di chi non se lo aspettava, di coloro che se ne fregano. Ma non importa. In qualche modo abbiamo ottenuto la loro attenzione, in qualche modo la loro vita è coinvolta e toccata inesorabilmente, a causa di una nostra azione, anzi della nostra eterna inabilità ad agire.
E così scopriamo nel nostro venir meno un social network inesorabile, che collega all'istante, in un solo sentimento fatto di mille individuali gradazioni, ogni disparato partecipante del mondo a noi circostante, dei tempi che abbiamo solcato. Maestre d'asilo, vecchi amici dimenticati, bulli odiati durante l'infanzia, professori e conoscenti, amori e indifferenze, tutto il nostro scibile di individui e persone a danzare attorno al nostro cadavere. Da morti, non siamo mai stati tanto vivi. 
Aggiungerò che questa fantasia ha molteplici varianti. Esiste quella punitiva, ovvero immaginarsi morti per punire qualcuno che ci ha appena offeso e godere dell'altrui sfrenato senso di colpa e naturalmente del singhiozzato riconoscimento di avere avuto torto. Poi esiste quella auto-punitiva, magari per avere per un millisecondo concepito (desiderato?) la morte di una persona cara, oppure per il semplice fatto di sentirsi un verme. Segue la fantasia di morte collettiva, dove assieme a noi periscono persone a noi care e solo pochi a contemplare tale rovina. Questa mi sembra più che altro una variante. E così ad libitum.
Ignoro il motivo di tali ciclici vaneggiamenti, ma ho il sospetto che siano in qualche modo salutari, apotropaici. Il fatto di gettare il nostro sguardo sul nulla che verrà dopo, implica forse la speranza che nulla non sarà, che la vita resterà acquattata dietro lo schermo. Una sorta di rito di espiazione e di rinascita, cui nessuno sfugge.
Perché tutti, prima o poi, immaginiamo la nostra morte.

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