...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Dio delle Piccole Cose

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole. Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra. Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate. Le barche riforniscono i bazar. E nelle pozzanghere che riempiono le buche lasciate per le strade dal Dipartimento dei Lavori Pubblici compare qualche pesciolino.
Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem.


- da Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy - 

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