...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

martedì 4 gennaio 2011

Armageddon con dedica

Una notizia stramba alla TV mi ha fatto ripensare alla sempre imminente fine del mondo. Si tratta della morte biblica di alcune specie animali in Arkansas, presso il fiume Osark (http://www.iamm epress.it/esteri-c4/arkansas--dopo-i-corvi--trovati-morti-nel-fiume-anche-100mila-pesci-41881.html ). Non ho potuto non pensare all'imminente 2012.
E il mio cervello, in maniera pindarica e folle, mi ha anche riportato alla mente le parole stupende di una persona molto importante per me, anche se queste erano riferite al precedente Armageddon, che abbiamo già dimenticato tutti e che imputavamo al Cern di Ginevra.


La riflessione si intitola "back to the start".


Parlano della fine del mondo imminente. 
Un esperimento che potrebbe rivelarsi fatalmente sbagliato. 
Io non ci credo. 
Mi piace semplicemente tessere discorsi complessi e iperbolici sulla mia fine, su quella giustizia universale che porterebbe ogni cosa - dal viscido verme al monaco illuminato - a diventare polvere di stelle, con lo stesso dolore inavvertibile, alla stessa velocità, nello stesso istante. Perdendo tutto e niente.
Perché sarebbe la fine per ciascuno, senza distinzioni. 
E anche se in televisione e sui giornali sostengono che corriamo il rischio di essere inghiottiti da un buco nero, io, inguaribile romantica, continuerò a credere che, se proprio dobbiamo farla finita, lo faremo in modo estremamente romantico, esplodendo e trasformandoci così in una nebulosa. 
Torneremo ciò che eravamo: polvere di stelle. 
Donando estrema redenzione a una morte così stupida.
Mi diverto a immaginare come sarebbe, perché so che non succederà, e leggo per caso "Blues alla fine del mondo" di McEwan, che esplica così meravigliosamente bene il nostro senso apocalittico. 
Questa falsa minaccia del Cern non è altro che una sorta di esorcismo collettivo. 
Temo che non servirà a niente, tutto scorrerà inevitabilmente, inesorabilmente uguale. 
Forse, per un istante, quell'istante in cui ognuno di noi ha istintivamente creduto alla notizia e all'eventualità, le persone (la gente no, neanche in questo caso estremo) si sono fermate a pensare. Forse per un istante non calcolato - non preventivato - le persone hanno intravisto la bellezza nascosta prima al loro sguardo. Ma che il mondo in qualche modo cambi è ancora più improbabile della sua implosione incipiente. La bellezza resta un privilegio di pochi. E ogni cosa procederà nel suo lento rotolare, grigio e metallico.

La bellezza resta un privilegio di pochi.
Mi permetto di riscrivere queste parole perchè costituiscono la morale implicita in ogni ondata di timori e presentimenti della fine.
La morte e il confine ultimo servono solo ad evidenziare ciò per cui vale la pena di vivere (e lottare). Per questo, e per mille altre ragioni, grazie Vale.

La grandezza di un'epoca

Riporto alcune frasi di Jacob Burckhardt circa una rivalutazione del Medioevo e un confronto con la nostra era:


"Il Medioevo ha per lo meno saputo vivere senza guerre nazionali, senza processi industriali forzati, senza credito e capitalismo, senza odio contro la povertà. Ha avuto la propria grandezza e i suoi dolori, non gli si può fare, come al presente, il processo per i beni divorati dai posteri in anticipo.
La grandezza di un'epoca dipende dalla quantità di persone capaci di sacrificio, qualunque ne sia l'oggetto. E qui il Medioevo non è per niente indietro! Dedizione! E non garanzia di stipendio sicuro! Con che cosa comincia la grandezza? Con la dedizione verso qualcosa con l'atrofia totale della vanità personale.
La grandezza non dipende dalla superiorità intellettuale, poichè questa può essere legata ad un'indole spregevole. La grandezza è il collegamento tra un determinato spirito e una determinata volontà."


Non sono d'accordo in tutto e per tutto con quanto viene detto, ma ammetto di essere restato molto affascinato dallo spirito che permea queste parole.


PS: Il testo è tratto dalla "Guida al medioevo" di Horst Fuhrmann, pag. 25.

Il Paradosso dell'erudito

Ami la bellezza, l'amore, la prospettiva di fruire e godere della vita senza perderne un sorso.
Ti affascina D'Annunzio, il vivere inimitabile.
Ti nutri di poeti e poesie, di Quant'è bella giovinezza, di Carpe diem.
Ma al contempo devi conoscere, contestualizzare, decifrare e analizzare questi testi,  possedere ogni singola nozione e anticipare e soppesare il carico di conseguenze che si trascina ogni azione.
Ti contraddici ad ogni istante.
Comprendi che gli eruditi poeti delle tue poesie erano vittime della tua stessa malattia.
Hanno perduto le primizie della propria esistenza per celebrarla al meglio.

Second-class man

Gente esausta; il peso di valigie e zaini grava sulle gambe tese. Sudore e fatica; file di esseri umani osservano vuote cabine di prima classe, fantastiche poltrone garbatamente occupate da fantasmi.
E, volente o nolente, sento il ghigno noncurante di questi fantasmi.
Loro dei treni spesso non hanno bisogno.
In questo momento no di sicuro.
Eppure c'è bisogno di marcare anche qui la loro diversità; esattamente come i cani si distinguono e si impongono grazie all'aroma acre dell'urina sui muri.
Ringrazio il mio cane per la similitudine.
C'è bisogno di evidenziare la disuguaglianza.
E i controllori, forse inconsapevolmente, tutelano questo ordine imposto e deciso altrove: sbraitano se tu, uomo di seconda classe (quasi una spregevole categoria antropologica e morale), osi invadere il locus amoenus dei privilegiati, non solo per appoggiare il culo sull'eden delle loro poltrone, ma finanche per sederti a terra a sopportare il viaggio.
Quella zona non è per te.
Ti rassegni. Torni con la coda tra le gambe nel tuo inferno, abbozzato a tua immagine e somiglianza, forse un poco più edotto sulla giusta società democratica.

domenica 14 novembre 2010

Emblemi e presagi 2




La vera prigione


Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un'intera generazione
E' il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E' questo
E' questo
E' questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.







Lo ha scritto Ken Saro-Wiwa, ormai anni fa.
E io non so se già allora lui sapesse di scrivere non solo per sè e per il suo popolo.

Emblemi e presagi

http://www.youtube.com/watch?v=kFUVaXQZS9M&feature=related


E' un video che si commenta da solo. Le forze dell'ordine diventano un potere arbitrario e spaventoso, che se la prende con cittadini inermi, i quali cercano solamente di esprimere un loro diritto. La scena del ragazzo portato via, del vicequestore, che poi urla "Caricate", è indegna di ogni sentimento di umanità e di ogni senso dell'onore. La città dove avviene tutto ciò è la benestante e benpensante Brescia, dove alcuni immigrati si sono issati su una gru rischiando la propria vita per un briciolo di attenzione; hanno cercato di regolarizzare la propria posizione di clandestini e sono stati ingannati due volte, prima dai propri datori di lavoro, poi dallo Stato, uniti nell'estorcere loro del denaro mai reso; e adesso per questo tentativo rischiano l'espulsione. Ma non vi ricordano qualcuno quei poveracci là sopra, al freddo, vittime di un potere più forte di loro, vittime di un intrico di leggi tramate al solo scopo di ingannarli e impoverirli, appese ad un filo?
Queste persone sono l'emblema di un paese sul baratro, nelle mani di una classe dirigente peggiore di esso e cieca rispetto alle nozioni basiche di qualsiasi forma di morale. Ironia della sorte vuole che tale compito spetti proprio a degli extracomunitari. Eppure la gente picchiata e minacciata là sotto riesce a donarmi ancora un minimo di speranza in una possibile reazione. Temo, al contempo, che la violenza della polizia sia a sua volta emblematica di quello che i poteri forti di questo paese risponderanno a chiunque aspiri al rinnovamento.
Ma non è certo il momento di avere paura. Anzi, per citare quanto diceva Benigni pochi giorni fa, forse è l'ora di restare e guardare i nostri fantasmi negli occhi.  


Per una sola speranza: http://www.youtube.com/watch?v=s7pso6STv8E

venerdì 5 novembre 2010

Ballata d'autunno.

Ballata d'autunno.

Piove
dietro ai vetri,
piove
e piove
sui pioppi già sfogliati,
sui tetti bruni,
sui campi,
piove.

Hanno dipinto di grigio il cielo
e il suolo si è avvolto di foglie,
ha cominciato a vestirsi d'autunno.
La sera che s'addormenta
sembra un bambino cullato dal vento,
con la sua ballata d'autunno.

Una ballata d'autunno,
un triste canto di malinconia
che nasce al morire del giorno.
Una ballata d'autunno,
a volte come un mormorio
e a volte come un lamento.
A volte vento.

Ti potrei raccontare che sta bruciando
l'ultima mia legna nel focolare,
che oggi sono molto povero
e che per un sorriso do tutto ciò che sono
perchè sono solo e ho paura.
Se solo tu fossi capace di vedere
gli occhi tristi di una lampada
e di parlare con quella porcellana
che ieri ho scoperto
e che, per un momento,
è divenuta donna,
allora
dimenticando il mio domani e il tuo passato
torneresti da me.

La sera se ne va e mi lascia
il lamento che domani sarà vecchio
d'una ballata d'autunno.


Juan Manuel Serrat.



Leggere le parole di un cantautore senza ascoltare la musica che le accompagna è un atto di ingiustizia; cercare di tradurle nel proprio idioma rasenta il tradimento o la lesa maestà. Eppure oggi ho ascoltato e letto questa canzone di Serrat e mi ha toccato. Il testo non è nulla di speciale, si limita a radunare alcuni luoghi comuni sull'autunno, sulla pioggia (che a noi ricorda D'Annunzio) e sulla solitudine. Eppure secondo me riesce a creare un'alchimia, qualcosa di valore; avverto la sincerità di queste parole, di questa canzone. Una piccola lezione su come spesso,per trovare l'emozione e la bellezza,non occorre fuggire dal consueto e dal canonico, ma semplicemente saperlo ricombinare con gusto ed incanto.

Ps:il link della canzone è http://www.youtube.com/watch?v=RdtuGyG2E-s
Non c'è cosa più malinconicamente autunnale di un piano alla Satie..