...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

lunedì 31 gennaio 2011

L'abbandono.

Una cosa mi ha sempre inquietata. Piccoli dettagli, sudici e malandati, che non potevo fare a meno di notare quando scrutavo il mondo fuori dal finestrino, piccola bambina curiosa e chiacchierona, e che tuttora, seppure impegnata nella guida, continuano a colpirmi.
Gli oggetti abbandonati sul ciglio della strada, rovinati, trascurati – da chi li ha lasciati, dal tempo, da chi passa – buttati lì come se non avessero più ragione di esistere.
Non penso certo alla spazzatura, ai sacchetti di plastica, a bottiglie e cocci di vetro, cartacce o lattine; no, io mi riferisco più nello specifico agli indumenti. E non è che la cosa mi metta tristezza: mi inquieta davvero.
Oggi, in un punto indefinito dell’autostrada che percorro così spesso, c’era un paio di scarpe. Non una; a una scarpa abbandonata, sola, senza compagna e senza un piede da ospitare, con cui camminare, ero già abituata (anche se non riesco comunque a spiegarmelo: perché lasciare a bordo di una strada una scarpa? Una sola...l’altra che fine potrà mai aver fatto?). Erano proprio due, identiche, nere con dei disegni fucsia, piccole, quasi sicuramente di una bambina. Ora, come è mai possibile che quelle due scarpine siano finite lì? Significa che da qualche parte c’è una bambina a piedi nudi o, più probabilmente, con un paio di scarpe nuove, certo. Ma perché lasciare le altre due lì? Non riesco proprio a immaginare che qualcuno abbandoni volontariamente le scarpe di una bambina a bordo dell’autostrada. Che siano state dimenticate poi pare ancora più assurdo. Alla bimba scappava la pipì, i genitori si sono fermati e, ferendo la sua sensibilità, l’hanno obbligata a farla lì, mentre decine e decine di automobili e camion le sfrecciavano davanti? E a quel punto la bimba ha pensato che fosse meglio togliere le scarpe e poi le ha dimenticate ed è risalita in auto a piedi scalzi? No, assolutamente assurdo. Ed è questo ad essere inquietante. Non c’è spiegazione, non c’è un apparente valido motivo. Eppure scarpe, guanti, calze fanno questa misera fine ogni giorno, spesso senza il relativo compagno. Una calza non può volare fuori dal finestrino di un’auto in corsa! Eppure capita di vederne, spiaccicate come gomme masticate e sputate, piatte e aderenti all’asfalto.
Mi rendo conto che si tratta di oggetti, che chiunque altro – quei pochi in cui possa nascere un pensiero di fronte a un guanto aggrappato a un ramo secco sulla Milano – Varese – penserebbe con disprezzo alla mancanza di educazione di chi li ha gettati lì invece che in un secchio della spazzatura…ma il punto è un altro. Il punto è che per quanto mi sforzi non riesco ancora oggi a dare un senso all’abbandono di questi oggetti. Quelle scarpe, anche se viste di sfuggita, non sembravano avere nulla di sbagliato, eppure erano lì, gettate via come spazzatura, senza nemmeno la dignità di un sacco in cui nascondersi a piangere e a marcire. E mai, mai e poi mai, vorrei essere al posto di quelle scarpe, un giorno o l’altro. A guardare dal ciglio della strada tutte le altre scarpe ai piedi di qualcuno, a fare qualcosa di importante, a viaggiare, a camminare, a guardare fuori dal parabrezza, mentre io non posso fare altro che stare lì a chiedermi perché i miei piedi mi abbiano abbandonata, quando mi sembrava di essere così comoda, così bella, così utile.

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