...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

mercoledì 6 aprile 2011

"Nel mare ci sono i coccodrilli", ovvero l'Isola Che Non C'è.

Un libro letto mesi fa, letto velocemente, chiuso con le lacrime agli occhi.
Una storia vera, così vera da sembrare assurda. E in questi giorni ancora più attuale.
Giorni in cui uno sputo di terra (più vicino all'Africa di quanto non lo sia la mia città da lui) invaso da centinaia di uomini, alla ricerca.
Un problema spinoso, che tocca il cuore di tutti, che preoccupa.
Io non so dire se sia giusto o sbagliato che loro vengano qui. 
Quello che so, con assoluta certezza, è che non lascerei il mio paese, la mia famiglia, tutto quello che ho - poco o tanto che sia. So che non affronterei il mare rischiando la vita, senza sapere quel che mi attende dall'altra parte; nemmeno sapendo quello che c'è ora dall'altra parte.
So che in questo momento l'Unione Europea, per come io la concepisco, non esiste. Una moneta non è sufficiente, in casi come questi, quando realmente si avverte il bisogno di un aiuto reciproco. Una moneta può essere assolutamente inutile se il problema è così terribilmente umano.
Lampedusa ha bisogno di un aiuto e mi chiedo da dove debba arrivare, se non dall'Europa. 

Ed è vero, noi italiani, grazie al cielo e purtroppo, siamo buoni e su un'isola stiamo offrendo uno spazio che non c'è.
Io non so quale sia la soluzione. So però un'altra cosa. Che quelli che arrivano ammassati sui barconi sono esseri umani, non bestie. Che sicuramente tra di loro ci saranno dei delinquenti, così come ogni giorno ne vediamo camminare per strada, ma ci sono anche tante persone buone, semplicemente disperate. Persone che chiedono un aiuto, disposte a lasciarsi tutto alle spalle, che magari abbandonano i loro figli sapendo che non li rivedranno per troppo tempo. Io non chiedo tanto, chiedo solo di essere altrettanto umani. Ci vuole tanto a tentare di comprendere? Senza questo sforzo il problema di Lampedusa - che è un problema di tutti gli italiani - rimarrà irrisolto.
***
Consiglio la lettura di "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda e di questo articolo di pochi giorni fa di Adriano Sofri pubblicato su Repubblica: Se io fossi un tunisino.

martedì 5 aprile 2011

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria...

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri,
china e distante sugli elementi del disastro,
dalle cose che accadono al di sopra delle parole
celebrative del nulla,
lungo un facile vento
di sazietà, di impunità.
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso,
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta, la maggioranza sta.
Recitando un rosario
di ambizioni meschine,
di millenarie paure,
di inesauribili astuzie,
coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta.
Come una malattia,
come una sfortuna,
come un’anestesia,
come un abitudine.



Fabrizio De Andrè
Smisurata Preghiera




Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione latente in voi, ed essa prenderà significato universale. 


R. W. Emerson

sabato 2 aprile 2011

Marzo, che se n'è andato.

Marzo è stato un mese intenso. Amo la primavera, ma non sopporto quel che comporta il cambio di stagione.
Il freddo e il caldo, il cielo che muta colore all'improvviso, nuvole che arrivano senza chiedere permesso e se ne vanno senza salutare. Eppure, quest'anno, marzo mi ha svelato alcuni preziosi segreti.
Percorrendo di continuo la stessa strada, troppe volte nell'arco della stessa giornata, ho scoperto che migliaia di fiori sbocciano insieme nella medesima notte e dopo pochi giorni, in poche ore, scompaiono, lasciando un tappeto di coriandoli a terra; pochi fortunati si accorgono che i fiori sono passati di lì.
Ho riscoperto la bellezza dell'italiano e quanto ogni incontro sia un tesoro prezioso; l'ho visto negli occhi di donne, uomini e ragazzi che, giunti dalle terre più lontane e più diverse, si siedono intorno a un tavolo e con la penna in mano cercano di imparare una lingua nuova e tramite questa lingua comunicano tra loro.
Ho ricordato - ogni anno lo dimentico - il piacere del calore del sole sulla pelle, dopo mesi in cui è rimasta nascosta sotto strati e strati di cotone e di lana.
Ho capito che un dovere, se scelto e voluto con consapevolezza, può dare soddisfazione; ho avuto la prova che a volte l'impegno viene ripagato, per davvero.
Mi sono accorta che nel momento in cui ho dimenticato di chiedermi perché facessi quel che stavo facendo ogni cosa è parsa un po' più semplice, un po' più pulita, un po' più giusta. Adesso quasi non lo ricordo più. E nonostante questo non credo di aver mai avuto le idee più chiare.
Ho scoperto che tenersi per mano è sempre bello come la prima volta in cui le dita si sfiorano timide.

domenica 20 marzo 2011

"I giorni volano confusi e inquieti come mosche a tavola"

Una goccia si specchia nel Lago d'Iseo - 13 marzo 2011

Basterebbe solo una goccia nella quale specchiarsi.


A volte è difficile fare chiarezza, quando le idee e i pensieri sono talmente tanti e tutti così apparentemente importanti da sovrapporsi di continuo. Non lasciano respiro ed è continuamente un esame da parte di qualcuno, un esame su sé stessi. Da domanda nasce domanda, da preoccupazione altra preoccupazione.
Così i pensieri entrano uno nell'altro, si confondono e si fondono e tutto pare rientrare in un unico percorso. 
Si rimane disarmati di fronte a un groviglio scuro che a tratti sembra dipanarsi, ma semplicemente si annoda ancor più su sé stesso - dentro sé.
Forse è così, forse le prove da superare, una persona che ti delude, le nuove scelte da adulta da prendere, l'attesa di una risposta, una nuova sfida da affrontare, una ricerca da compiere...forse tutte queste sono solo apparentemente questioni distinte. E allora dovrei imparare a specchiare questo rovo inestricabile in una semplice goccia, per scoprire, finalmente, me stessa in un unico riflesso.




giovedì 24 febbraio 2011

Eclissi di musica



Capita che poche note e una melodia riflettano miracolosamente il nostro spirito e che sappiano raccontare meglio di diecimila libri la nostra storia presente e passata.
A volte vediamo la nostra tristezza farsi voce e fuoriuscire da labbra che cantano.
A volte sentiamo la nostra gioia indugiare sui tasti di un pianoforte, giocare tra le corde di una chitarra. Sono momenti preziosi, perchè un'intera esistenza entra in congiunzione astrale con la musica, allineando la sua esuberanza al mistero armonico del mondo. Sono momenti brevi, perchè subito la vita e il caos di ogni giorno impietoso ci strappano lontano.
E della sensazione dolce resta solo il ricordo.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Dio delle Piccole Cose

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole. Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra. Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate. Le barche riforniscono i bazar. E nelle pozzanghere che riempiono le buche lasciate per le strade dal Dipartimento dei Lavori Pubblici compare qualche pesciolino.
Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem.


- da Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy - 

martedì 15 febbraio 2011

La storia gira...

...e gira, e gira. Lo diceva sempre un vecchio e lontano parente, lassù in Bretagna. Non l'ho mai conosciuto. Ma le sue massime sono state ripetute talmente spesso in famiglia, che ormai quasi riesco a vederlo, mentre con gesto enfatico e teatrale - il dito indice alzato - fende l'aria con le grosse braccia, l'occhio sinistro socchiuso, e dice: "La storia gira, gira e gira..."
E tutto sommato, benché tutti pensassero che fosse un po' matto, comincio a credere che avesse ragione.




Era l'anno 558 aC. Pisistrato era già stato esiliato una volta da Atene. Un paio di anni prima, infatti, per prendere il potere, aveva ben pensato di ferirsi da solo (forse con un bronzetto di Athena Poliàs, chissà!) e di denunciare un attentato nei propri confronti per ottenere una scorta armata. Con quei 300 mercenari così ottenuti riuscì a occupare l'Acropoli e a detenere il potere per un po'. Ma poi fu esiliato, come si diceva all'inizio.
Di conseguenza pensò a uno stratagemma ancora migliore: prese una ragazza altissima, le fece indossare un'armatura e la fece sfilare per le strade di Atene su un carro, tentando di far credere alla gente che quella fosse proprio la dea Atena, che in persona suggeriva a gran voce alla cittadinanza di mandare al potere il suo amato Pisistrato...


Per fortuna che, allora, nessuno ci cascò. Certo, dopo un altro - ovvio - esilio, alla fine, con la forza, Pisistrato riuscì a diventare tiranno di Atene, ma a quella stupida messa in scena non credette proprio nessuno.


...e gira, e gira...