...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

domenica 20 marzo 2011

"I giorni volano confusi e inquieti come mosche a tavola"

Una goccia si specchia nel Lago d'Iseo - 13 marzo 2011

Basterebbe solo una goccia nella quale specchiarsi.


A volte è difficile fare chiarezza, quando le idee e i pensieri sono talmente tanti e tutti così apparentemente importanti da sovrapporsi di continuo. Non lasciano respiro ed è continuamente un esame da parte di qualcuno, un esame su sé stessi. Da domanda nasce domanda, da preoccupazione altra preoccupazione.
Così i pensieri entrano uno nell'altro, si confondono e si fondono e tutto pare rientrare in un unico percorso. 
Si rimane disarmati di fronte a un groviglio scuro che a tratti sembra dipanarsi, ma semplicemente si annoda ancor più su sé stesso - dentro sé.
Forse è così, forse le prove da superare, una persona che ti delude, le nuove scelte da adulta da prendere, l'attesa di una risposta, una nuova sfida da affrontare, una ricerca da compiere...forse tutte queste sono solo apparentemente questioni distinte. E allora dovrei imparare a specchiare questo rovo inestricabile in una semplice goccia, per scoprire, finalmente, me stessa in un unico riflesso.




giovedì 24 febbraio 2011

Eclissi di musica



Capita che poche note e una melodia riflettano miracolosamente il nostro spirito e che sappiano raccontare meglio di diecimila libri la nostra storia presente e passata.
A volte vediamo la nostra tristezza farsi voce e fuoriuscire da labbra che cantano.
A volte sentiamo la nostra gioia indugiare sui tasti di un pianoforte, giocare tra le corde di una chitarra. Sono momenti preziosi, perchè un'intera esistenza entra in congiunzione astrale con la musica, allineando la sua esuberanza al mistero armonico del mondo. Sono momenti brevi, perchè subito la vita e il caos di ogni giorno impietoso ci strappano lontano.
E della sensazione dolce resta solo il ricordo.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Dio delle Piccole Cose

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole. Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra. Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate. Le barche riforniscono i bazar. E nelle pozzanghere che riempiono le buche lasciate per le strade dal Dipartimento dei Lavori Pubblici compare qualche pesciolino.
Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem.


- da Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy - 

martedì 15 febbraio 2011

La storia gira...

...e gira, e gira. Lo diceva sempre un vecchio e lontano parente, lassù in Bretagna. Non l'ho mai conosciuto. Ma le sue massime sono state ripetute talmente spesso in famiglia, che ormai quasi riesco a vederlo, mentre con gesto enfatico e teatrale - il dito indice alzato - fende l'aria con le grosse braccia, l'occhio sinistro socchiuso, e dice: "La storia gira, gira e gira..."
E tutto sommato, benché tutti pensassero che fosse un po' matto, comincio a credere che avesse ragione.




Era l'anno 558 aC. Pisistrato era già stato esiliato una volta da Atene. Un paio di anni prima, infatti, per prendere il potere, aveva ben pensato di ferirsi da solo (forse con un bronzetto di Athena Poliàs, chissà!) e di denunciare un attentato nei propri confronti per ottenere una scorta armata. Con quei 300 mercenari così ottenuti riuscì a occupare l'Acropoli e a detenere il potere per un po'. Ma poi fu esiliato, come si diceva all'inizio.
Di conseguenza pensò a uno stratagemma ancora migliore: prese una ragazza altissima, le fece indossare un'armatura e la fece sfilare per le strade di Atene su un carro, tentando di far credere alla gente che quella fosse proprio la dea Atena, che in persona suggeriva a gran voce alla cittadinanza di mandare al potere il suo amato Pisistrato...


Per fortuna che, allora, nessuno ci cascò. Certo, dopo un altro - ovvio - esilio, alla fine, con la forza, Pisistrato riuscì a diventare tiranno di Atene, ma a quella stupida messa in scena non credette proprio nessuno.


...e gira, e gira...

domenica 13 febbraio 2011

A seguire...



L'Italia raccontata da Rino...

Tutto cambia...


Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com' è oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m'accompagne?».
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m'è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?

(Purgatorio II, 76-123).

Così Dante si lamentava dello stato miserevole del nostro paese, quando ancora Italia era soltanto un'espressione geografica. Ma oramai sono passati settecento anni e le cose sono cambiate. O no? 
Riconsiderando punto per punto le parole del poeta:

- L'Italia è oggi serva di una piccola ed egoista casta di privilegiati, tutelata da una classe politica parassitaria.

- Parte della popolazione è piena di dolore (non solo fisico, ma anche morale) nel suo vivere quotidiano e nel guardare in faccia la realtà dei fatti. Certo l'altra metà è così apatica da non rendersene nemmeno conto. Ma l'apatia di chi dorme è forse ancora più dolorosa.

- La metafora col bordello è quasi più calzante oggi che ai tempi di Dante. Non occorrono altri paragoni.

- La realtà quotidiana sembra  davvero una guerra di tutti contro tutti. L'essere membri dello stesso paese, regione, città, ufficio, fabbrica, scuola, addirittura della stessa famiglia, è sempre più spesso motivo di rivalità e non di concordia. D'altronde se il potere e la ricchezza sono nelle mani di pochi, tutti gli altri devono lottare tra loro per spartirsi le briciole.

- La gloria del nostro passato è considerata dai più solo un luogo comune da bar o qualcosa da sfruttare economicamente. La maggioranza della gente lo ignora e si vanta di ignorarlo. I pochi che lo conoscono si domandano se è davvero possibile che questo sia stato il paese della Repubblica Romana e del Rinascimento.

- La "Santa Sede", oggi come allora, invade le prerogative di uno stato debole e compiacente, mossa da avidità e dal proprio tornaconto. Curiosamente i preti dimenticano la morale, quando si tratta di comandare il bordello.

- Come Dante, alcuni pensano che l'unica soluzione sia quella di appellarsi ad un'autorità sovrastatale: non più l'impero di Arrigo, ma l'Unione Europea. Inutile dire che pensare che gli altri vengano a risolvere i nostri problemi sia stata (e sarà) un'illusione.

- Un paese dove governa un partito secessionista è un paese diviso. E quando celebra la sua unità, senza neppure rendersi conto di questa palese contraddizione, cade dal tragico nel ridicolo.

Non si tratta di uno sfogo amaro, ma della nuda e cruda constatazione della realtà.

Ma non dobbiamo affatto essere pessimisti.
Finchè ci sarà qualcuno a denunciare il male,
finchè le parole avranno ancora un valore.

Ricordiamoci che l'Italia descritta da Dante viveva effettivamente una crisi tremenda.
Ma questo non impedì che qualcuno scrivesse la Divina Commedia.

lunedì 31 gennaio 2011

L'abbandono.

Una cosa mi ha sempre inquietata. Piccoli dettagli, sudici e malandati, che non potevo fare a meno di notare quando scrutavo il mondo fuori dal finestrino, piccola bambina curiosa e chiacchierona, e che tuttora, seppure impegnata nella guida, continuano a colpirmi.
Gli oggetti abbandonati sul ciglio della strada, rovinati, trascurati – da chi li ha lasciati, dal tempo, da chi passa – buttati lì come se non avessero più ragione di esistere.
Non penso certo alla spazzatura, ai sacchetti di plastica, a bottiglie e cocci di vetro, cartacce o lattine; no, io mi riferisco più nello specifico agli indumenti. E non è che la cosa mi metta tristezza: mi inquieta davvero.
Oggi, in un punto indefinito dell’autostrada che percorro così spesso, c’era un paio di scarpe. Non una; a una scarpa abbandonata, sola, senza compagna e senza un piede da ospitare, con cui camminare, ero già abituata (anche se non riesco comunque a spiegarmelo: perché lasciare a bordo di una strada una scarpa? Una sola...l’altra che fine potrà mai aver fatto?). Erano proprio due, identiche, nere con dei disegni fucsia, piccole, quasi sicuramente di una bambina. Ora, come è mai possibile che quelle due scarpine siano finite lì? Significa che da qualche parte c’è una bambina a piedi nudi o, più probabilmente, con un paio di scarpe nuove, certo. Ma perché lasciare le altre due lì? Non riesco proprio a immaginare che qualcuno abbandoni volontariamente le scarpe di una bambina a bordo dell’autostrada. Che siano state dimenticate poi pare ancora più assurdo. Alla bimba scappava la pipì, i genitori si sono fermati e, ferendo la sua sensibilità, l’hanno obbligata a farla lì, mentre decine e decine di automobili e camion le sfrecciavano davanti? E a quel punto la bimba ha pensato che fosse meglio togliere le scarpe e poi le ha dimenticate ed è risalita in auto a piedi scalzi? No, assolutamente assurdo. Ed è questo ad essere inquietante. Non c’è spiegazione, non c’è un apparente valido motivo. Eppure scarpe, guanti, calze fanno questa misera fine ogni giorno, spesso senza il relativo compagno. Una calza non può volare fuori dal finestrino di un’auto in corsa! Eppure capita di vederne, spiaccicate come gomme masticate e sputate, piatte e aderenti all’asfalto.
Mi rendo conto che si tratta di oggetti, che chiunque altro – quei pochi in cui possa nascere un pensiero di fronte a un guanto aggrappato a un ramo secco sulla Milano – Varese – penserebbe con disprezzo alla mancanza di educazione di chi li ha gettati lì invece che in un secchio della spazzatura…ma il punto è un altro. Il punto è che per quanto mi sforzi non riesco ancora oggi a dare un senso all’abbandono di questi oggetti. Quelle scarpe, anche se viste di sfuggita, non sembravano avere nulla di sbagliato, eppure erano lì, gettate via come spazzatura, senza nemmeno la dignità di un sacco in cui nascondersi a piangere e a marcire. E mai, mai e poi mai, vorrei essere al posto di quelle scarpe, un giorno o l’altro. A guardare dal ciglio della strada tutte le altre scarpe ai piedi di qualcuno, a fare qualcosa di importante, a viaggiare, a camminare, a guardare fuori dal parabrezza, mentre io non posso fare altro che stare lì a chiedermi perché i miei piedi mi abbiano abbandonata, quando mi sembrava di essere così comoda, così bella, così utile.