...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

sabato 13 agosto 2011

Aspettando Godot.




                                                                                                                                  Quino

Notturno.

















All'orecchio

Se vuoi baciarmi... bacia,
- io condivido i tuoi desideri -
Però non fare prigioniera la mia bocca,
Baciami adagio negli occhi
Non mi parlare di incantesimi
Dei tuoi baci sul collo...
Ora sono gelosi i miei ricci
Accarezzami i capelli,
E' cosa giusta pure per te e
Se i tuoi occhi sono parole,
Mi daranno, uno ad uno,
I pensieri che elabori.
Poggia la tua mano tra le mie:
Tremeranno come un canarino
E ascolteremo le sinfonie
Di qualche amore millenario.
Questa è una notte morta
Sotto il tetto astrale.
L'orto è muto
Come un sogno letale.
Ha una sfumatura di alabastro.
Ed un mistero di pagoda.
Guarda la luce di quell'astro!
Ce l'ho nell'anima tutta!
Silenzio... silenzio... Taci!
Perfino l'acqua scorre a stento,
Sotto il suo verde schermo
Si acquieta misurata la sabbia
Ohi! Che profumo così fino!
Non baciare le mie labbra rosse!
Nella notte di platino
Baciami adagio negli occhi...

Da Alfonsina Storni, La inquietud del rosal, 1916

Il rito.

Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.


Pier Paolo Pasolini

martedì 9 agosto 2011

Consigli agli scrittori per "bambini".



Penso che ci siano tre modi in cui gli scrittori per l'infanzia possono affrontare il proprio lavoro: due buoni e uno che di solito si rivela cattivo. Ho familiarizzato col cattivo piuttosto di recente, grazie a due testimoni involontari. La prima è una signora che mi ha inviato il manoscritto di un racconto in cui una fata mette a disposizione di un bambino un  congegno meraviglioso. Dico "congegno" perché non si tratta di un anello magico, di un mantello o altro oggetto tradizionale: è una macchina dotata di leve e pulsanti che bisogna premere. Ne premi uno e ottieni un gelato, un altro e appare un cucciolo, eccetera. Ho detto all'autrice, in tutta sincerità, che questo genere di cose non m'interessa. "Neanche a me" ha ammesso la signora "anzi mi irrita, ma è quello che vogliono i bambini moderni". L'altra testimonianza è la seguente. Nel primo libro di Narnia ho descritto con una certa abbondanza di particolari un tè completo che il fauno ospitale offre alla piccola protagonista. Un mio conoscente, padre di figli, ha osservato: "Capisco perchè ha inserito quell'episodio. Per compiacere il pubblico adulto bisogna scrivere di sesso, ma trattandosi di bambini lei avrà pensato: "Cosa posso dargli in cambio? Trovato, le ghiottonerie. A tutti i bambini piacciono le cose buone". In realtà mangiare e bere piace molto anche a me. Scrivo quello che mi sarebbe piaciuto trovare nei libri quando ero ragazzo e quello che mi piace leggere ancora adesso, a cinquant'anni. (...) Il secondo metodo di scrittura ricorda il primo, ma si tratta di una somiglianza superficiale: è quello adottato da Lewis Carrol, Kenneth Grahame, Tolkien. In questo caso il racconto scritto è sviluppo di quello narrato a voce a un bambino reale, spesso in modo estemporaneo. Somiglia al primo modo perché cerca senza dubbio di dare al bambino quello che vuole, ma l'ascoltatore è una persona concreta e specifica, un ragazzo diverso dagli altri ragazzi. In queste condizioni l'atteggiamento che considera i "bambini" come una specie curiosa, i cui desideri vanno stabiliti da noi come se fossimo antropologi o viaggiatori di commercio, non può funzionare; trovandoci faccia a faccia col nostro ascoltatore, sospetto che non sarebbe possibile dargli qualcosa che gli piaccia, ma che noi stessi consideriamo con  indifferenza e disprezzo. Il bambino se ne accorgerebbe e capirebbe di avere a che fare con la mentalità di un adulto, mentre il narratore finirebbe col sentirsi in imbarazzo. Quando si racconta una storia a voce, per farla vivere, la natura del narratore e dell'ascoltatore risultano in una personalità composita. Il terzo modo, l'unico che sia in grado di mettere a frutto personalmente, consiste nello scrivere un racconto per l'infanzia semplicemente perchè la forma migliore per esprimere quello che si ha da dire, proprio come un compositore che, creando una marcia funebre, non lo fa perchè ci sia un funerale in vista, ma perchè determinate idee musicali si adattano meglio a quella forma. (...)
I critici che usano l'aggettivo "adulto" come un complimento anziché come un semplice termine descrittivo, non possono essere considerati adulti in prima persona. Preoccuparsi di sembrarlo, ammirare le cose dei grandi perché sono da grandi, arrossire al sospetto di passare per infantili sono i classici segni della fanciullezza e dell'adolescenza. (...) Quando avevo dieci anni leggevo le fiabe di nascosto e mi sarei vergognato di essere scoperto; ora ne ho più di cinquanta e le leggo apertamente. Diventato uomo ho messo da parte le paure infantili, compresa quella di sembrare infantile e il desiderio di mostrare che sono cresciuto. (...) Ci accusano di arresto dello sviluppo perché non abbiamo perso i gusti che avevamo da ragazzi, ma l'autentico arresto non può consistere nel rifiuto di abbandonare un patrimonio, bensì in quello di acquisirne uno nuovo. Oggi mi piace il vino bianco che da ragazzo non avrei apprezzato, ma continua a piacermi la limonata. E' un processo di crescita nel quale mi sono arricchito: dove prima conoscevo un solo gusto ora ne conosco due. Se per acquisire il piacere del vino avessi dovuto perdere quello di una spremuta di limoni, non si sarebbe trattato di crescita, ma di semplice cambiamento. (...) Un albero cresce perché si formano nuovi anelli, un treno che lascia una stazione per arrivare alla prossima non cresce affatto; ma il caso di cui ci occupiamo è ancora più evidente e complesso. Penso che la mia crescita personale si manifesti sia quando rileggo le fiabe che quando affronto i romanzieri, perché oggi sono in grado di apprezzare la fiaba più di quanto fosse possibile nell'infanzia: essendo in grado di vederci più cose, ne traggo maggiore soddisfazione.


Tratto da C.S. Lewis, Tre modi di scrivere per l'infanzia, traduzione di Giuseppe Lippi.

lunedì 27 giugno 2011

Survival.

A thousand years from this tonight
When Orion climbs the sky,
the same swift snow will still the roofs,
the same mad stars run by.

And who will know of China's war,
Or poison gas in Spain!
The dead ... they'll be forgotten, lost
Whether they lose or gain.

Of all the brilliant strategies
Of war-lords now alive,
Perhaps a Chinese iris vase
Of porcelain, may survive ...

Perhaps a prayer, perhaps a song,
fashioned of love and tears,
But only beauty, ...only truth
 
will last a thousand years.



Margaret Moore Meuttman, 1948

venerdì 10 giugno 2011

Perché.

Domenica e lunedì, 12 e 13 giugno 2011, tutti gli italiani sono chiamati ad esprimere la propria opinione su questioni di vitale importanza. E' inutile dirvi che io andrò a votare e che metterò quattro croci su quattro SI.
Non è questo il punto. Il referendum è uno strumento fondamentale per una vera democrazia, perché permette a ciascun cittadino di esprimere la propria opionione riguardo alle leggi, confermando la propria fiducia al governo, oppure affermando la propria disapprovazione verso alcune decisioni prese da esso.
Al di là di quale sia il vostro pensiero, scrivo questo appello per invitarvi ad andare a votare.
E' importante che ciascuno esprima il proprio volere.
Non andare a votare significa non credere abbastanza nelle proprie idee, significa indifferenza, significa lasciare che qualcun'altro prenda decisioni importanti al nostro posto.
Io voglio credere nella possibilità che questo paese abbia ancora le risorse per migliorare, per crescere, per guardare al futuro. E voi? Dimostrate con il vostro voto che ancora vi interessa qualcosa dell'Italia; fatelo, con un "sì" o con un "no". Raggiungere il quorum non significa permettere ai "sì" di vincere; significa anche, in questo momento, far vedere ai nostri politici (ma anche al mondo) che vogliamo rimanere una democrazia, che vogliamo poter prendere decisioni importanti, che ci meritiamo la possibilità di scegliere cosa sia meglio o peggio per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti.
Andare a votare è IMPORTANTE, sempre e comunque. Assumetevi questa responsabilità, fatelo prima di tutto per voi stessi. Fatelo, perché è un diritto per cui qualcuno, prima di noi, ha lottato. Fatelo, perché è un diritto per il quale ancora qualcuno nel mondo combatte. Fatelo, perché è lo strumento della democrazia che tutti desideriamo. Fatelo, perché non farlo significa assumersi una responsabilità ancora più grave.

domenica 5 giugno 2011

Il ruolo dell'intellettuale.

Corriere della Sera, 14 novembre 1974


Cos'è questo golpe? Io so


Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.



Pier Paolo Pasolini