...perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.

martedì 9 agosto 2011

Consigli agli scrittori per "bambini".



Penso che ci siano tre modi in cui gli scrittori per l'infanzia possono affrontare il proprio lavoro: due buoni e uno che di solito si rivela cattivo. Ho familiarizzato col cattivo piuttosto di recente, grazie a due testimoni involontari. La prima è una signora che mi ha inviato il manoscritto di un racconto in cui una fata mette a disposizione di un bambino un  congegno meraviglioso. Dico "congegno" perché non si tratta di un anello magico, di un mantello o altro oggetto tradizionale: è una macchina dotata di leve e pulsanti che bisogna premere. Ne premi uno e ottieni un gelato, un altro e appare un cucciolo, eccetera. Ho detto all'autrice, in tutta sincerità, che questo genere di cose non m'interessa. "Neanche a me" ha ammesso la signora "anzi mi irrita, ma è quello che vogliono i bambini moderni". L'altra testimonianza è la seguente. Nel primo libro di Narnia ho descritto con una certa abbondanza di particolari un tè completo che il fauno ospitale offre alla piccola protagonista. Un mio conoscente, padre di figli, ha osservato: "Capisco perchè ha inserito quell'episodio. Per compiacere il pubblico adulto bisogna scrivere di sesso, ma trattandosi di bambini lei avrà pensato: "Cosa posso dargli in cambio? Trovato, le ghiottonerie. A tutti i bambini piacciono le cose buone". In realtà mangiare e bere piace molto anche a me. Scrivo quello che mi sarebbe piaciuto trovare nei libri quando ero ragazzo e quello che mi piace leggere ancora adesso, a cinquant'anni. (...) Il secondo metodo di scrittura ricorda il primo, ma si tratta di una somiglianza superficiale: è quello adottato da Lewis Carrol, Kenneth Grahame, Tolkien. In questo caso il racconto scritto è sviluppo di quello narrato a voce a un bambino reale, spesso in modo estemporaneo. Somiglia al primo modo perché cerca senza dubbio di dare al bambino quello che vuole, ma l'ascoltatore è una persona concreta e specifica, un ragazzo diverso dagli altri ragazzi. In queste condizioni l'atteggiamento che considera i "bambini" come una specie curiosa, i cui desideri vanno stabiliti da noi come se fossimo antropologi o viaggiatori di commercio, non può funzionare; trovandoci faccia a faccia col nostro ascoltatore, sospetto che non sarebbe possibile dargli qualcosa che gli piaccia, ma che noi stessi consideriamo con  indifferenza e disprezzo. Il bambino se ne accorgerebbe e capirebbe di avere a che fare con la mentalità di un adulto, mentre il narratore finirebbe col sentirsi in imbarazzo. Quando si racconta una storia a voce, per farla vivere, la natura del narratore e dell'ascoltatore risultano in una personalità composita. Il terzo modo, l'unico che sia in grado di mettere a frutto personalmente, consiste nello scrivere un racconto per l'infanzia semplicemente perchè la forma migliore per esprimere quello che si ha da dire, proprio come un compositore che, creando una marcia funebre, non lo fa perchè ci sia un funerale in vista, ma perchè determinate idee musicali si adattano meglio a quella forma. (...)
I critici che usano l'aggettivo "adulto" come un complimento anziché come un semplice termine descrittivo, non possono essere considerati adulti in prima persona. Preoccuparsi di sembrarlo, ammirare le cose dei grandi perché sono da grandi, arrossire al sospetto di passare per infantili sono i classici segni della fanciullezza e dell'adolescenza. (...) Quando avevo dieci anni leggevo le fiabe di nascosto e mi sarei vergognato di essere scoperto; ora ne ho più di cinquanta e le leggo apertamente. Diventato uomo ho messo da parte le paure infantili, compresa quella di sembrare infantile e il desiderio di mostrare che sono cresciuto. (...) Ci accusano di arresto dello sviluppo perché non abbiamo perso i gusti che avevamo da ragazzi, ma l'autentico arresto non può consistere nel rifiuto di abbandonare un patrimonio, bensì in quello di acquisirne uno nuovo. Oggi mi piace il vino bianco che da ragazzo non avrei apprezzato, ma continua a piacermi la limonata. E' un processo di crescita nel quale mi sono arricchito: dove prima conoscevo un solo gusto ora ne conosco due. Se per acquisire il piacere del vino avessi dovuto perdere quello di una spremuta di limoni, non si sarebbe trattato di crescita, ma di semplice cambiamento. (...) Un albero cresce perché si formano nuovi anelli, un treno che lascia una stazione per arrivare alla prossima non cresce affatto; ma il caso di cui ci occupiamo è ancora più evidente e complesso. Penso che la mia crescita personale si manifesti sia quando rileggo le fiabe che quando affronto i romanzieri, perché oggi sono in grado di apprezzare la fiaba più di quanto fosse possibile nell'infanzia: essendo in grado di vederci più cose, ne traggo maggiore soddisfazione.


Tratto da C.S. Lewis, Tre modi di scrivere per l'infanzia, traduzione di Giuseppe Lippi.

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